Fede ed Incredulità

di D. Iannone

 

Il credente ed il non credente fanno affermazioni necessariamente fondate su dei presupposti:

 

1)      Tanto l’uno quanto l’altro hanno pre-supposizioni a proposito della natura della realtà:

a)     Il credente presuppone un Dio onnipotente e il Suo piano per l’universo.

b)    Il non credente negando o affermando l’esistenza di Dio, presuppone un universo procedente e fondato sul caos, o il che è lo stesso, sul caso e dunque sulla probabilità. Pertanto le sue affermazioni a proposito dell’esistenza di un Dio risulteranno estremamente contraddittorie.

 

2)     Nessuno dei due, a causa della propria finitezza, può per mezzo della logica, fare affermazioni a proposito di ciò che la realtà dovrebbe essere:

a)     Il credente sapendo questo osserva e organizza i fatti logicamente in           autocosciente soggezione al piano di Dio rivelato nella Bibbia.

b)    Il non credente sapendo questo tenta l’impossibile: da una parte, negativamente afferma che la realtà è irrazionale e che i credenti praticano una strada del tutto insensata, poiché tutti i fatti rampollano dal caos e dal caso e dunque non posseggono “di per sé” alcun senso; nel contempo afferma che la realtà essendo manipolabile logicamente, possiede un fondo di “razionalità”. Affermare che la realtà è logica e coerente solo perché l’uomo riflette su di essa delle strutture razionali, mentre la realtà in sé è assolutamente a-razionale, significa solo spostare il problema.

   

3)     Entrambi affermano che la propria posizione è in accordo con i fatti dell’esperienza:

a)     Il credente afferma questo poiché dichiara di interpretare i fatti della propria esperienza sulla base del presupposto che la natura sia “uniforme”, in quanto fondata “analogicamente” sulla assoluta coerenza di Dio. Il Dio stabile ha creato un universo stabile.  Sal. 104:9; Sal. 119:26; Prov. 8:29; Ger. 5:22

b)    Il non credente fonda la propria posizione anch’egli su due serie di presupposizioni contraddittorie, quella della “non razionalità” dell’universo e nel contempo della “razionalità” del medesimo universo ad opera della capacità raziocinante dell’uomo. In effetti egli cerca di tenere in equilibrio l’equivocismo della prima presupposizione con l’univocismo della seconda. Il risultato è che l’uomo non può conoscere nulla di “oggettivo” della realtà, e nello stesso tempo affermare che avendo conosciuto qualche fatto, egli può affermare tutto a proposito di esso.

 

4)     Entrambi affermano che la propria posizione è in accordo con le esigenze della logica:

a)     Il credente poiché interpreta l’attività della logica nel contesto del presupposto dell’esistenza del Dio uno e trino. La storia argomenta che la natura è soggetta all’uomo e che entrambi sono soggetti a Dio. La logica interpreta la realtà ma non la “costruisce”.

b)    Il non credente non può fondare la propria convinzione su alcun fondamento “oggettivo”. Egli lavora sul presupposto che la realtà è fondata sul caso-caos, dunque i fatti non sono razionali e la logica e di fatto vuota. La logica ha una validità soltanto formale, è un insieme di regole senza una controparte nella realtà.

 

5)     Entrambi affermano che la propria posizione in relazione al problema del male è in accordo con la coscienza:

a)     Il credente afferma questo perché interpreta la propria coscienza come un aspetto della propria esperienza totale fondata sul presupposto della sovranità di Dio. Egli conosce per certo che il giudice dell’universo è giusto e che quanto questo Dio ha espresso nella Bibbia deve orientare i giudizi della propria coscienza.

b)     Il non credente fonda la propria affermazione sul fatto che la propria coscienza deve essere ritenuta punto di riferimento ultimo di ogni questione. Bene e male sono intesi come “indistinguibili” da un punto di vista “oggettivo” e soltanto “prospettici”.