L’apologetica di Cornelius Van Til

 

Van Til parte dal presupposto che quanto la Bibbia afferma a proposito dell’uomo e dell’universo sia inquestionabilmente vero. La Bibbia afferma l’esistenza di Dio e domanda all’uomo di credere che Costui controlla tutto l’universo. Questa non è una pretesa fideistica, poiché ogni cosa nell’universo testimonia che Dio è al controllo e che nulla esorbita dal Suo progetto. Per tale motivo è necessario affermare che l’esistenza di Dio e il Suo governo sono oggettivamente manifestati dall’opera delle Sue mani, tanto che qualunque uomo può percepire ciò e impossibilitato a recedere rispetto a tale evidenza.

Tutto ciò ci permette di affermare che Dio è presente attorno all’uomo e nell’uomo stesso. Nella misura in cui l’uomo è auto-cosciente egli è anche nel contempo cosciente di Dio. L’uomo conosce come verità più profonda in sè medesimo quella di essere una creatura di Dio. Qualsiasi analisi induttiva sulla natura non può non condurre l’uomo al cospetto di Dio. Tutto ciò che è contenuto nell’universo è rivelazionale di Dio e del proprio progetto, e ciò nonostante gli effetti del peccato. Però gli uomini a causa della solidarietà con il peccato del primo uomo Adamo, soffocano questa conoscenza fondamentale rivelata in loro e attorno a loro.

Neppure originariamente, prima della caduta, l’uomo poteva avere riconoscere Dio attraverso la creazione in modo “autonomo” da Dio. Dio in modo direttamente rivelativo supplementava tale conoscenza “naturale” di sè medesimo, con ulteriore conoscenza sovrannaturale, avendo Egli comunione “faccia a faccia” con Adamo. Tale rivelazione “naturale” va intesa come incorporata nel concetto di patto stipulato da Dio con Adamo. A causa di tale patto ogni aspetto della realtà era ed è esaustivamente contenuto nella relazione tra Dio e l’uomo. In Eden rivelazione naturale e sovrannaturale erano strettamente coese. La rivelazione in e circa l’uomo non era intesa a funzionare in modo autonomo, ossia indipendentemente dall’autorità di Dio.

Dopo la caduta, il carattere della rivelazione non è mutata; la perspicuità della rivelazione di Dio attraverso il creato dipende, per quanto concerne il significato, dal fatto che essa è un aspetto della totale e totalmente volontaria manifestazione del Dio auto-sufficiente.

E’ il medesimo Dio che parla attraverso la natura e nella Bibbia; nella Bibbia è rivelata la grazia di Dio a coloro che hanno infranto il patto, e anche il messaggio della Bibbia ha nelle coscienze degli uomini la medesima evidenza che possiede la rivelazione naturale. Per tale motivo l’uomo non ha scusa alcuna per il fatto di non accettare la rivelazione di Dio in natura o nella Bibbia. Dio è sempre chiaro.

L’approccio apologetico di Van Til ha molti meriti rispetto a quello tradizionale: 

(a) Comincia il dialogo con il non credente sul fondamento del contenuto della Bibbia, non si tenta di mostrare che tale contenuto è almeno “probabile” ma lo si afferma a-priori come indubitabilmente vero. Si testimonia con ciò che la Bibbia è autorità assoluta e fonte di interpretazione per la totalità dell’esistenza. Anche il cattolicesimo romano sembra appellarsi alla Bibbia, ma in pratica la rende vuota di autorità poiché per interpretarla invoca il magistero della chiesa e dunque la sottomette alle opinioni umane. L’arminianismo si muove nella medesima direzione del cattolicesimo quando rigetta alcune dottrine scritturali (elezione, predestinazione) perchè non le può logicamente armonizzare con la generale offerta della salvezza e con il libero arbitrio, conclude pertanto ponendo brani della Bibbia contro altri brani della Bibbia e poi invocando una misteriosa e illogica azione di Dio che possa operare una riconciliazione delle contraddizioni.

(b) Afferma la oggettiva chiarezza della rivelazione di Dio, sotto qualunque forma. Tommaso d’Aquino è convinto di avere fatto giustizia alla rivelazione di Dio se conclude che Dio probabilmente esiste. L’esistenza del Dio della Bibbia è l’unica posizione ragionevole che l’uomo possa sostenere, essa non è solamente ragionevole come altre credenze o un poco più ragionevole che altre posizioni; essa è la sola naturale e ragionevole posizione che si possa sostenere. Solo su tale fondamento è possibile presentare le prove per dimostrare l’esistenza di Dio, formulandole fuori dal contesto probabilistico e connettendole esplicitamente alla Bibbia.

(c) Il punto di contatto con i non credenti per la presentazione del vangelo, sulla scia del pensiero di Calvino, è rinvenuto nel fatto che gli uomini sono tutti creati ad immagine di Dio e pertanto posseggono un ineradicabile “senso della deità”. La coscienza di ogni uomo testimonia in modo chiaro e diretto di Dio. Tale testimonianza è possibile poiché l’uomo conoscendo Dio conosce se stesso e viceversa, la coscienza dell’uomo è senza contenuto se prescinde da Dio. E’ questo il motivo per cui non esistono in realtà atei. L’attività interpretative dell’uomo, estesa o meno, intutitiva o raziocinante, è il mezzo più potente che lo Spirito di Dio utilizza per testimoniare della onni-pervasiva presenza di Dio. Anche il l’uomo più eticamente discutibile, possiede una coscienza che testimonia della propria disubbidienza al proprio Creatore. Nessuno può sfuggire allo sguardo di Dio. Ogni uomo con una capacità normale di ragionamento, può comprendere il contenuto della rivelazione cristiana. Afferma Murray che l’uomo naturale possiede: "una comprensione della verità del vangelo che è precedente alla fede e al pentimento.”  Tutto ciò è però reso possibile solo dal rifiuto dell’idea che l’auto-coscienza dell’uomo possa esistere senza riferimento alla coscienza di Dio. Detto altrimenti, la posizione cristiana è l’unica che prenda sul serio il concetto di “universo” nel senso di “ciò che possiede un senso”, ciò è possibile perché questo è creato e condotto nella direzione che gli è propria da un Dio autosufficiente. Tommaso d’Aquino e gli arminiani credono che i fatti dell’universo e l’uomo con essi siano contingenti ossia autonomi nella propria essenza e pertanto comprensibili a prescindere dalla coscienza di Dio. Entrambi gli schieramenti presuppongono che i non credenti nell’area delle cose “naturali” abbiano una posizione “neutrale” passibile di essere analizzata senza riferimento a Dio.

(d) Van Til non separa metodo induttivo da quello deduttivo. Il processo di interpretazione implica un concorso di vari tipi di ragionamento. Tutti queste procedure vanno però organizzate sul presupposto a-prioristico della necessità della posizione teistica del cristianesimo. Van Til segue Calvino nella convinzione che il creato offra chiara evidenza di Dio, mentre l’uomo ribelle a Dio è impegnato a costruire false interpretazioni della rivelazione di Dio; è questa la dottrina della totale depravazione, tutti gli uomini vengono al mondo in qualità di trasgressori del patto, essi non desiderano onorare Dio e la conoscenza di se che Egli offre. Tutti gli uomini posseggono conoscenza in se medesimi di Dio. Essi incontrano la faccia di un giudice adirato ovunque posino lo sguardo, per sfuggire a tale minaccia, essi sopprimono la faccia di Dio ovunque. Per tale motivo essi negano che i fatti della natura abbiano un senso e un controllo sovrannaturale, e si proclamano autonomi e non creati. Anche se professano di servire Dio, essi in realtà servono la creatura e non il Creatore. Per essi Dio e uomo divengono aspetti del medesimo universo, poiché tutto è interpretato in modo immanentistico. Ma tutte le spiegazioni dell’universo che lasciano fuori il Dio cristiano finiscono con l’apparire futili. Solo presupponendo il Dio uno e trino vi è possibilità di affermazioni intelligenti sulla natura. Anche l’ateo se vuole fare affermazioni consistenti deve assumere principi cristiani.

Van Til afferma che i non credenti non sono consistenti con la propria ribellione nei confronti di Dio e dunque con il proprio desiderio di essere autonomi, pertanto possono impegnarsi nella ricerca scientifica e scoprire molte verità a proposito dell’universo creato. Epistemologicamente credenti e non credenti hanno nulla in comune, ossia i paradigmi scientifici che giustificano le loro scoperte divergono profondamente. Ma psicologicamente essi sono accomunati dalla medesima rivelazione di Dio attraverso il creato. E’ come se l’uomo peccatore guardasse il creato di Dio attraverso occhiali colorati cementati sulla propria faccia. Essi partono dal presupposto interpretativo che la coscienza dei fatti o delle leggi siano intelligibili senza coscienza di Dio. Tutto ciò sapendo nel contempo che Dio esiste, ma come trasgressori del patto tentano di sopprimere tale verità. Un banale fatto dell’esperienza quotidiana ci illumina in merito a ciò, quando appare su qualche giornale una qualche statistica a proposito di se le persone credono o meno, i risultati confermano sempre che la maggior parte della popolazione intervistata crede a Dio, mentre solo una piccola percentuale crede al Dio della Bibbia quale creatore e giudice. Ogni uomo possiede il “senso della deità” e dunque conosce Dio come proprio creatore e giudice, ma nel contempo appare anche che ogni peccatore tenta di sopprimere questa verità. Essi sono senza Dio nel mondo e come Charles Hodge afferma essi debbono essere rinnovati in conoscenza (Col. 3: l0) così come in giustizia e santità (Ef. 4:24). Nè Tommaso d’Aquino nè gli arminiani pongono questa fondamentale distinzione tra credenti e non credenti; essi non pongono la distinzione tra creatore e creatura a presupposto del proprio pensiero. Dio ha fatto l’uomo in modo che questi possa anche iniziare qualcosa che è fuori dal consiglio di Dio. L’essere umano può pensare di se medesimo, dei fatti che lo circondano, delle leggi del mondo come manipolabili a piacere e dunque comprensibili a prescindere dalla loro relazione a Dio. Se cattolici ed arminiani fossero nel giusto con la propria visione dell’auto-coscienza dell’uomo, la disciplina apologetica non avrebbe possibilità di esistere, poiché non vi sarebbe più un piano di Dio che controlla ogni cosa. Costoro non possono sfidare l’uomo peccatore e il punto di contatto che cercano non è fondato biblicamente ma piuttosto su una assunzione peccaminosa: l’autonomia dell’uomo. Essi porranno sempre in contrasto i brani di Paolo in cui è affermato che ogni uomo conosce Dio, con quelli altrettanto importanti in cui è affermato che nessun uomo naturale conosce Dio. Tommaso d’Aquino e gli arminiani ritengono che l’uomo naturale abbia alcune corrette nozioni a proposito di Dio. Ora non si contesta che vi siano persone che dicono “Io credo in Dio”,  piuttosto si questiona il contenuto del termine “Dio”. L’apologetica tradizionale assume che l’uomo ha una certa misura di corretto pensiero quando usa il termine “Dio”. Van Til afferma che quando il non credente usa il termine Dio associa ad esso sempre un Dio finito, ciò perché è all’opera attivamente una tendenza ribelle che lo porta a sopprimere la conoscenza del vero Dio. Il Dio dell’uomo naturale è sempre avviluppato in una Realtà che è più grande di Dio stesso e dell’uomo. La Realtà è inclusiva di tutto ciò che esiste. Talete dirà che Tutto è acqua, Anassimene che Tutto è aria, altri filosofi abbineranno il Tutto a qualche pluralità o dualità o concezione atomista o pragmatista. Ma dal punto di vista cristiano, sarà sempre all’opera un presupposto Monista che fonde in un tutt’uno l’universo e Dio. Compito dell’apologista cristiano è proprio affermare che l’area comune a credenti e non credenti è tale da non essere senza qualificazioni. Interpretare un fatto come dipendente da Dio non è la medesima cosa che interpretare il medesimo fatto come indipendente da Dio. L’apologetica tradizionale (anche di marca calvinista) è fondamentalmente induttivista, essa cerca di “provare” a partire da fatti concreti e probabili, la verità del cristianesimo, a tal fine essa studia l’archeologia, la storia e quant’altro. L’apologeta tradizionale mostra ai non credenti tutte le prove possibili per credere nel teismo cristiano e quindi in dottrine quali la nascita virginale del Cristo e la Sua risurrezione. Possiamo anche considerare i destinatari di tale industrioso lavoro come peccatori corretti ed educati. Essi ricevono dal credente tali prove e le porranno in un pozzo senza fondo di “pura possibilità”. Il non credente considererà il miracoloso solo come una stranezza della Realtà, confessando di essere più interessato alle cose che succedono con regolarità. Forse nell’ipotesi migliore, il non credente proverà a spiegare il miracoloso con un ricorso alle leggi della probabilità. A queste conclusioni egli giunge perché non è sfidato a ragionare con la presupposizione della creazione e della provvidenza, pertanto non nota inconsistenze quando si confronta con la nascita o risurrezione di Cristo. Se l’apologeta non presenta i fatti per quello che essi in realtà sono, egli non li presenta affatto. Ciascun fatto dell’universo è quello che è in virtù del proprio posto nel piano di Dio, anche se l’uomo non può conoscere comprensivamente quel piano. L’apologeta cristiano non dovrebbe cercare di essere induttivista in modo puro, ma dovrebbe presentare i fatti insieme alla propria filosofia dei fatti. Di solito l’apologeta tradizionale non è mai un puro induzionista, nè un puro a-priorista, ma entrambe le cose. Quando impegnato a presentare argomenti induttivi a proposito dei fatti, egli cercare di affermare attraverso essi l’esistenza di Dio. Di solito lo schema logico delle sue argomentazioni è il seguente: se A è vero, allora vi è un assoluto che ne è la causa e questo assoluto “deve essere”. Egli non ammetterà che l’idea di “deve essere” dei non credenti, in merito alla relazione dei fatti alla logica, sia diversa dalla propria. Egli non ammetterà che solo su un fondamento teistico cristiano vi è possibilità di connettere la logica ai fatti. Quando i non credenti rifiutando il presupposto della creazione e della provvidenza, parlano di “dovere essere” in relazione ai fatti, essi battono l’aria. Il credente deve essere consistente con il proprio metodo immanentistico, ed è proprio tale presupposto che l’apologeta tradizionale non sfida.

L’apologeta autenticamente consistente con il teismo cristiano deve presentare i fatti sul fondamento di quanto la Bibbia afferma a loro proposito. Egli sa che ciascun uomo ha in se medesimo un “senso della deità” ben sepolto sotto la superficie di qualsiasi convinzione. Pertanto si dona modo a tale sensum di emergere a fronte della ribellione che lo soffoca. L’apologeta deve mostrare come tutte le assunzioni su tutte le cose dell’universo siano senza significato se non sono connesse a Dio. Le scienze sarebbero impossibile e così anche la conoscenza se i presupposti del non credente fossero veri;  se le verità cristiane fossero false nessun fatto si distinguerebbe da un altro fatto.

Ogni fatto creato, non solo alcuni, provano la verità del cristianesimo, non in modo probabilistico. Se il teismo cristiano non fosse vero, nulla risulterebbe vero. I riformati olandesi Kuyper e Bavinck sono sulla stessa linea, anche se non sempre risultano consistenti con le proprie assunzioni. Kuyper nella sua Encyclopedie ha evidenziato la differenza tra l’approccio al mondo da parte del credente e del non credente. Bavinck nella propria monumentale  opera, mette a punto una “teologia naturale” orientata alla Bibbia e in netta opposizione alla ragione neutrale del cattolicesimo. Bavinck insegnava che le prove tradizionali per l’esistenza di Dio se attentamente analizzate provano soltanto un Dio finito. Van Til non nega allora che vi sia un terreno di conoscenza comune tra credenti e non credenti, nella linea di Romani 1 e 2 e della Istituzione di Calvino. Tutti gli uomini, anche i più malvagi e atei, posseggono conoscenza di Dio, solo che gli uomini peccatori non interpretano propriamente tale rivelazione. La rivelazione naturale non deve essere confusa ed identificata con la teologia naturale. Paolo non compie tale identificazione, ma afferma che l’uomo naturale offre una falsa interpretazione della rivelazione in lui e attorno a lui. Costui “soffoca” la verità (Rom. 1:18). Comprendiamo allora che è solo sulla base di un’errata comprensione della rivelazione biblica che Tommaso d’Aquino, il cattolicesimo, gli arminiani, Butler, identificano proprio rivelazione naturale con teologia naturale.

La teologia naturale di Tommaso è esemplarmente espressa nelle sue prove, costruite sulla metodologia di Aristotele che non assumeva che l’uomo fosse creato ad immagine di Dio, che i fatti dell’universo che l’uomo interpreta, non sono creati da Dio, che le leggi della logica non sono impresse nella mente dell’uomo dal proprio creatore. Quando tale metodologia è applicata alle prove di Tommaso, essa conclude all’esistenza di un “dio”, cioè un dio che non crea il mondo, che non conosce il mondo e che non conosce neppure se medesimo poichè egli non è un “lui” ma un “esso”, cioè un astratto principio onni-pervasivo di razionalità. Tommaso stesso ammette questo.[1]

Questo Dio non è il creatore dell’uomo, il Dio contro il quale l’uomo ha peccato, ma un principio astratto che non può volere nè pensare all’uomo e pertanto non può avere un Figlio da mandare nel mondo per salvare gli uomini peccatori. Questo dio aristotelico può solo metaforicamente “salvare” gli uomini che partecipano alla sua razionalità, in realtà gli uomini non hanno bisogno di salvezza poiché già partecipano di tale razionalità. Tommaso e gli arminiani costruiscono la propria teologia su di una filosofia pagana che implica le idee: 1) dell’autonomia dell’uomo, 2) un principio di individuazione dei fatti puramente contingente, 3) un formale, impersonale, onni-assorbente principio di continuità.

Secondo costoro l’uomo è in una certa misura libero e ontologicamente indipendente da Dio, I fatti del mondo non hanno un senso (sono cioè contingenti) e non sono rivelatori del proprio Creatore, di conseguenza è il pensiero e l’attività dell’uomo che cercano di porre non solo ordine nel caos dell’universo, ma anche di stabilire se Dio esiste o meno.


[1] T. d’Aquino, Summa Contra Gentiles, I:13.29, 30

 

(autore: Domenico Iannone)