L’Uno e i Molti e la sfida

 della moderna mitologia

di D. Iannone

Il mondo evangelico soffre di “anemia apologetica”. A dispetto del fatto che dovremmo dare ragione della speranza che è in noi (1 Pietro 3:15; Giuda 3), preferiamo non dare molto spazio alla ragione e non far sentire la nostra voce nella cultura popolare o accademica. La causa di questa situazione è molto complessa. Desideriamo comparare la “visione del mondo” della mitologia antica con quella della scienza moderna allo scopo di mostrarne la profonda affinità. Ciò allo scopo di perfezionare i nostri strumenti apologetici e anche per mostrare agli oppositori del teismo cristiano come questo sia l’unico fondamento possibile per le scienze proprio perché non mitologico. A tal scopo si dimostrerà che diversamente dal cristianesimo, la scienza moderna e l’antica mitologia condividono la medesima struttura filosofica, mentre per contrasto il cristianesimo presenta una distinta e demitologizzante comprensione del cosmo. Ciò detto diamo brevemente di seguito sei fattori che inibiscono l’impegno apologetico, facendolo apparire troppo sofisticato se non addirittura inutile. Qualcuno ha detto (W. Martin) che la chiesa evangelica è un gigante che dorme, dobbiamo allora impiegare il nostro potenziale per svegliarlo ed attrezzarlo al fine di presentare il Vangelo e difenderlo dalle obiezioni scettiche e superstiziose.

1. Indifferenza

Molti cristiani ritengono che il pensiero cristiano sia datato se non addirittura ridicolo e non adatto al confronto con la cultura contemporanea. La nostra attitudine non dovrebbe essere dissimile da quella di Paolo che avvertiva di essere in angustia riflettendo sulla idolatria degli ateniesi. Tale zelo per la verità di Dio dovrebbe condurci ad un fruttuoso incontro apologetico con quei pensatori che dibattono nuove idee (Atti 17). 

2. Irrazionalismo

Alcuni cristiani ritengono che la fede abbia a che fare con la totale assenza di prove o argomentazioni. Ancora peggio, per alcuni altri avere fede significa credere a dispetto delle prove in contrario. Più irrazionale è la nostra fede, più spirituali si è. Paolo in 1 e 2 Corinzi insegna che Dio rende folle la sapienza del mondo, poichè quest’ultima è una falsa sapienza. Ciò è possibile perché la rivelazione di Dio non è irrazionale. Dio non domanda al credente di sospendere le proprie facoltà critiche “Eppoi venite, e ragioniamo assieme” (Isaia 1:18), lo stesso Gesù ci comanda di amare Dio con la nostra mente (Matteo 22:37). Quando i credenti optano per l’irrazionalismo, la loro fede diventa del tutto inutile.

3. Ignoranza

Molti cristiani non sono consapevoli delle risorse intellettuali accessibili al credente, ciò perché molte chiese ignorano l’apologetica. Molti predicatori ignorano di informare I fedeli sulle prove dell’esistenza di Dio, della risurrezione di Cristo, la giustizia dell’inferno, la supremazia di Cristo, o i problemi logici posti dalle visioni del mondo dei non credenti. I libri pubblicati dall’editoria evangelica indulgono ad affrontare temi apocalittici, tecniche per fare in modo che l’evangelizzazione abbia successo, esaltano cristiani celebri (il cui carattere spesso non è così esemplare come la loro notorietà). A volte è possibile dire di un movimento riflettendo su quanto esso legge.

4. Codardia

Nella nostra società pluralistica è molto importante il “vivi e lascia vivere”, e molti evangelici capitolano in quanto a chiarezza teologica al cospetto di pressioni sociali, non è infatti infrequente incontrare evangelici “buoni e tolleranti” più che “biblici”. Non abbastanza evangelici sono disposti a presentare la propria fede in un contesto di sfida, a scuola, a lavoro, o in altri luoghi pubblici. La tentazione rimane quella di “privatizzare” la fede e ad isolarla dalla vita pubblica. Paolo afferma: “Perseverate nella preghiera, vegliando in essa con rendimento di grazie; pregando in pari tempo anche per noi, affinché Iddio ci apra una porta per la Parola onde possiamo annunziare il mistero di Cristo, a cagione del quale io mi trovo anche prigione; e che io lo faccia conoscere, parlandone come debbo. Conducetevi con saviezza verso quelli di fuori, approfittando delle opportunità. Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come dovete rispondere a ciascuno.” (Colossesi 4:2-6).

Possiamo sperimentare rigetto, ma Gesù ci insegna che coloro che sono “perseguitati” a causa del Suo nome sono “benedetti”: “Beati voi, quando v'oltraggeranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per cagione mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande ne' cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi.” (Matteo 5:11-12). Pietro fa eco al Maestro quando afferma: “Se siete vituperati per il nome di Cristo, beati voi! perché lo Spirito di gloria, lo Spirito di Dio, riposa su voi.” (1 Pietro 4:14). 

5. Arroganza e vanità intellettuale

Molti apologeti sono interessati più a presentare l’ingegnosità delle proprie argomentazioni che a difendere la fede in modo santo. L’orgoglio dell’apologeta va assolutamente condannato. La verità che difendiamo è un dono della grazia, non un possesso personale. Sviluppiamo le nostre abilità apologetiche per santificarci nella verità, vincere anime a Cristo e dare gloria a Dio. L’arroganza è all’opera anche quando si accusa il fratello di eresia senza prove sufficienti.

6. Tecniche superficiali

Il motto apologetico di Francis Schaeffer era quello di dare “oneste risposte a questioni oneste”. Dobbiamo sempre con onestà rispondere alle questioni che ci sono poste, senza standardizzare persone o risposte, e senza neppure artificialmente convergere l’attenzione sulle questioni che a noi premono.

Struttura Filosofica del Pensiero Cristiano

Poiché Dio è un essere trino, Dio è eternamente uno ed eternamente triplice. Pertanto l’essere di Dio esprime contemporaneamente ed eternamente l’unità e la molteplicità (diversità), dimensioni queste che si condizionano e co-implicano a vicenda. Poiché l’immagine di Dio è necessariamente impressa sulla propria creazione, l’unità e la molteplicità si riflettano sull’ordine creato e sono alla base dell’epistemologia cristiana. Dio è personalità infinita. Dio e uno e molti, e la comunione presente nel Suo stesso essere è tanto razionale quanto personale. Dio può definire se medesimo in termini del Suo solo stesso essere, pertanto non necessita dell’universo finito e impersonale. Per tale motivo il Dio trino non dipende dal cosmo. Dio è dunque in grado di prevenire qualsiasi confusione tra la propria infinita personalità e il cosmo, riuscendo a stabilire un cosmo ordinato e non divino.

Impersonalismo Cosmico

La connessione tra scienza e mitologia è molto più profonda delle considerazioni formali appena espresse. In particolare, quando scienza e mitologia sono meglio considerate, entrambe presuppongono un impersonalismo cosmico. Nel tentativo di personificare la natura, la mitologia necessariamente confonde Dio con la creazione e poiché Dio è fatto dipendere da un mondo finito ed impersonale, ciò che la mitologia ottiene non è la personificazione della natura, ma piuttosto la depersonalizzazione di Dio. Poiché la mitologia è fondamentalmente impersonale e naturalistica, la scienza moderna è semplicemente una forma di mito più impersonale. L’impersonalismo è il marchio della mitologia, e ciò a dispetto delle varie forme di mitologia che risultano solo variazioni degli impersonali temi dell’essere  (spirituale unità ed ordine) e del non essere (pluralità materiale e caos). Così nella cosmologia babilonese, vi è una evoluzione dal non essere all’essere (l’acqua femminile del caos, genera l’ordine spirituale maschile). Per contrasto nella mitologia indù, vi è uno scadimento dall’essere al non essere in cui uno spirito maschile produce un mondo femminile e materiale attraverso un processo di differenziazione. La cosmologia taoista, suppone un continuo combattimento tra essere e non essere, in cui un cielo maschile e una terra femminile sono connessi in una tensione procreativa  eterna. In tutti questi casi, i principi posti alla base di queste concezioni sono impersonali ed astratti, poichè gli aggettivi “maschile” e “femminile” non sono altro che forme poetiche. La personalità non è altro che un epi-fenomeno di un universo che in realtà la nega. Conseguentemente poichè la scienza utilizza i medesimi principi del pensiero mitologico, tanto formali (struttura filosofica), quanto materiali (impersonalismo cosmico), la scienza moderna è mitologica.[1]

La fede nell’azione del Dio uno e trino, deve essere il presupposto necessario per una scienza obiettiva. Ma quando la complessità della natura divina è negata, viene perduta la base metafisica che lega armoniosamente unità e particolarità. Ciò comporta un necessario scivolamento verso una delle tre basiche visioni del mondo ribelli a Dio: 1) radicale particolarismo, 2) radicale unità, 3) tensione dialettica tra unità e particolarità. Queste opzioni sono alla base tanto del pensiero mitologico quanto di quello scientifico.

Radicale Particolarismo

Secondo questa prospettiva il cosmo deve essere inteso come un aggregato di parti o eventi disconnessi, non soggetti a qualche legge unificante e dunque dominati dal caso. Il risultato è un universo ridotto ad un mare di fatti bruti, senza significato, in perenne conflitto tra loro. Sul piano mitologico, questa è la “visione del mondo” dell’antico politeismo, in cui gli dèi combattono gli uni contro gli altri per la supremazia. Sul piano scientifico, questa prospettiva si manifesta nell’evoluzionismo darwiniano e nella sopravvivenza del più forte. A causa del comune radicamento nel caso, il darwinismo e l’antico politeismo condividono una struttura mitologica in cui entrambi congetturano una evoluzione dal caos. Inutile dire che per tale punto di vista, la mancanza di un ordine obiettivo distrugge qualsiasi base per la conoscenza umana.

Radicale Unità

Secondo tale prospettiva, il cosmo deve essere concepito come un intero senza significato, senza concreti particolari, privato di qualsiasi direzione o sviluppo, Il cosmo è un’unità amorfa, nella quale non è possibile distinguere eventi. Sul piano mitologico questa è la concezione dell’induismo Veda, nel quale i particolari, siano essi déi o eventi, sono ridotti alla manifestazione fenomenica (apparente) di Brahman, lo spirito universale che penetra ogni cosa. Sul piano scientifico, questa è la concezione espressa dalla teoria di Einstein, che tenta di unificare tutti gli eventi interpretandoli come la manifestazione fenomenica di un unico campo deterministico. A causa del comune monismo, la teoria di Einstein e l’induismo, condividono una struttura di pensiero di tipo mitologico, in cui entrambi riducono gli eventi a fenomeni di un principio deterministico e ciclico. Ma la mancanza di differenze obiettive non può che distruggere qualsiasi base per l’osservazione e la correlazione dei particolari. Questa mancanza di distinzioni confonde oggetto e soggetto della conoscenza. Svanisce in tal modo la base per una scienza che abbia un qualche significato.

Tensione dialettica tra unità e particolarità

In questa concezione il cosmo è il prodotto di un conflitto eterno e dialettico tra ordine e caos, un prodotto lacerato di forze antagonistiche. In tale cosmo vi è una tensione in ciascun suo punto, l’ordine tenta di contenere il caos, ed il caos tenta di sovvertire l’ordine. Sul piano mitologico è questa la prospettiva del Taoismo, per il quale gli eventi sono il prodotto di una lotta tra ying e yang. Sul piano scientifico, questa prospettiva  è incapsulata nella Scuola di Copenhagen (complementarietà), con la teoria dell’onda-particella della meccanica quantistica. Il comune dualismo tanto del Taoismo quanto della scuola di Copenhagen è dovuta alla struttura mitologica comune. La compresenza di questi due principi, indipendenti ed antagonistici distrugge qualsiasi unità della scienza. Tale posizione è una composizione schizofrenica di principi opposti, che non possono offrire alcuna base per la conoscenza. Se si potesse sfuggire alla tensione tra questi due principi opposti, si avrebbe a che fare con l’alternativa di conoscere niente a proposito di niente (caos) o conoscere ogni cosa a proposito di niente (ordine).  



[1] Il comune impersonalismo di mitologia e scienza può essere ricavato anche da un’osservazione dalla trasformazione storica della mitologia in scienza. Secondo lo storico delle religioni, Mircea Eliade, le culture arcaiche evidenziano una involuzione dal monoteismo al politeismo nel quale I nuovi dèi sono identificati con le forze immanenti dell’universo (Mircea Eliade, The Sacred and the Profane, New York: Harvest, 1957, pp. 118-128). Inizialmente questi popoli primitiviti, adorano un Dio personale, un essere ultraterreno e supreme. Con il tempo tale Dio diviene remoto e superfluo, come risultato della crescente preoccupazione dell’uomo per le forze “naturale ed immanenti” della natura. Mano a mano che queste forze diventano per l’uomo importanti, esse sono divinizzate, come conseguenza il monoteismo si trasforma in un politeismo impersonale. Il nome del Dio supremo dei Mongoli è Tengri, che significa “cielo”, infatti tale dio cinese indica tanto il cielo quanto il dio del cielo. Il termine sumero per indicare la divinità è dingir, che in origine indicava una apparizione divina, chiara e brillante. Il dio babilonese Anu esprimeva l’idea di “cielo”. Il dio supremo indo-europeo, Dieus, denota tanto un’apparizione celeste, quanto il sacro (cf. Sanskrit div, brillare, giorno; dyaus, cielo, giorno; Dyaus, il dio indiano del cielo). Zeus e Mercurio conservano nei loro nomi la memoria della sacralità del cielo. Il celtico Taranis (da taran, tuonare), il baltico Perkunas (luminescente), e il proto-slavo Perun (dal polacco piorun, luminescente) sono ulteriore testimonianza della trasformazione degli dei del cielo in dei della tempesta. Il dio del cielo non è identificato con il cielo, poichè è lui stesso che crea il cielo. E’ questo il motivo per cui è chiamato creatore, onnipotente, Signore, Capo, Padre e simili. Il dio celeste è una persona, non una manifestazione impersonale di una forza della natura. Questo dio vive in cielo ed è manifestato in modo terrorizzante dai fenomeni meteorologici quali: tuoni, fulmini, meteore etc. Tale dio che si manifesta tramite i fenomeni celesti, tende a sparire dalle pratiche religiose, esso abbandona gli uomini, si ritira nel cielo, e diventa un remoto ed ozioso. In breve può essere detto che tali dèi dopo avere creato il cosmo, la vita e l’uomo si sentono enormemente affaticati, da ritirarsi in cielo lasciando un figlio o un demiurgo sulla terra allo scopo di completare la loro opera. Gradualmente il loro posto è assunto da alter figure mitiche, gli antenati mitici, deità madri, dei della fecondità e simili. Il dio della tempesta in tale proliferare di dèi conserva ancora la propria conformazione originaria, ma non è più un supremo essere creatore; egli è il fecondatore della terra, o il collaboratore (paredros) della madre-terra. L’essere supremo celeste conserva il proprio posto preponderante solo in mezzi ai popoli dediti alla pastorizia, o in quelle religioni affini al monoteismo (Ahura-Mazda) o sono assolutamente monoteistiche (Yahweh, Allah). (M. Eliade, 120-122). Dio diviene remoto poichè l’uomo compie scoperte culturali ed economiche. La scoperta dell’agricoltura trasforma l’economia del sacro, che si arricchisce di forze quali la sessualità, la fertilità, la mitologia della donna e della terra e così via. L’esperienza religiosa diviene più concreta, più intimamente connessa con la vita. Dèe e dèi della fertilità divengono più accessibili agli uomini che non lo spirituale e moraleggiante dio creatore. Nel contempo gli uomini avvertivano che tali dèi potevano essere utili ad incrementare la vita, solo in tempi “normali”. Nei momenti “critici” tali divinità non risultavano capaci di “salvare”. Più gli dèi della fertilità si specializzavano, meno riuscivano ad esprimere il potere spirituale del dio creatore. (M. Eliade, 125-128). Eliade è convinto che le religioni pagane degenerino in forme di politeismo nel momento in cui tentano di colmare il posto lasciato vuoto da un dio trascendente. Tale posto è colmato con divinità che sono solo la concretizzazione delle forze naturali impersonali ed immanenti della natura, e siccome esse difettano della nobiltà e del potere del dio creatore, esse diventano soggette alla umana manipolazione della magia, la pseudo-scienza del mondo antico. Lo sviluppo ulteriore, è un più conscio “impersonalismo”, le divinità collassato in manifestazioni fenomeniche di forze impersonali; ad esempio in India il politeismo dei Veda (2000 - 1500 B.C.) si trasforma nel monismo della Upanishad (800 B.C.- 500 A.D.) e degli scrittori come Sankara (VIII° a.C.) e Ramanuja (XI° d.C.). La mitologia degenera da un monoteismo personale, al politeismo ed infine ad un più astratto monismo (o dualismo) diventando sempre più impersonale. Tale processo progredisce nel mondo impersonale delle scienze moderne. La scienza moderna è mitologia poiché esse condividono la medesima struttura filosofica, è animata dallo stesso impersonalismo, e costituisce la logica conclusione dello sviluppo storico della mitologia. Ed allora proprio il pensiero cristiano a non essere mitico e ad essere l’autentico fondamento su cui le scienze possono radicarsi. La scienza moderna implicitamente divinizza l’universo e produce una confusione “mitologica” tra Dio e creazione, approdando all’impersonalismo, e distruggendo la base personale per un ordine razionale del cosmo e per una mente umana ricettiva, elementi entrambi necessary per qualsivoglia impresa scientifica. Il cristianesimo confessa per contrasto che il Dio trino è auto-sufficiente e dunque indipendente dal cosmo. Dio non si confonde con la propria creazione, e quest’ultima non è divinizzata, essendo solo una creatura. Fritjof Capra, The Tao of Physics (Boston: Shambhala, 2000); P. T. Raju, The Great Asian Religions: An Anthology (New York: Macmillan, 1969).