Filone Giudeo e la Legge Mosaica

di Domenico Iannone

Possiamo comprendere appieno il pensiero di Filone Alessandrino (20 a.C., 50 a.C.) soltanto se lo intendiamo nella cornice della missiologia giudaica. Filone non ricercava una sintesi tra pensiero giudaico e cultura greca, ma il modo di rendere accettevole alla cultura greca, il proprio pensiero giudaico. Allo stesso titolo dei filosofi greci, egli fonda la propria filosofia sul presupposto che l’esperienza umana risulti comprensibile a prescindere dalla rivelazione data da Dio a Mosè. Va detto che per Filone diversamente dalla filosofia greca, Dio è un essere personale, assoluto, che si colloca nel contempo oltre ogni possibilità di essere pensato. Allo stesso titolo del Dio neo-platonico, il Dio di Filone è nel contempo in relazione con il mondo e senza relazioni con il mondo. La salvezza dell’anima è ottenuta partecipando alla vita di questo Essere che è al di là di tutte le categorie di pensiero. Nel Timeo Platone usava l’argomento della causalità per dimostrare l’esistenza di Dio. Filone si ispira a tale argomento ma ritiene che Dio non possa essere conosciuto secondo la propria essenza dall’uomo. L’essenza di Dio è innominabile (akatonomastou), ineffabile (arrytou), ed incomprensibile (akatalyptou ). Probabilmente tale convinzione non è di origine greca, in quanto i greci rifiutavano solo l’affermazione che Dio potesse essere conosciuto tramite i sensi. Filone cita a riprova della propria convinzione Esodo 33:23 "Mosè entrò nella fitta oscurità, dove Dio stava" e Dio disse a Mosè: "Tu vedrai ciò che è dietro me, ma non vedrai la mia faccia" (Es. 33:23). Una volta stabilita l’incomprensibilità di Dio, da essa si deriva l’impossibilità di nominare Dio. Una riprova ulteriore è il fatto che richiesto di dare il proprio nome Dio dichiari in Esodo 2:13 "Io sono ciò che sono" che è lo stesso che dire: "la mia natura è essere, non qualcosa che ha da essere detta". Filone è convinto che rivelazione e ragione siano in perfetto accordo su questo punto. In realtà la "ragione" che è qui invocata è quella dell’uomo apostata che ha interesse nel negare la nominabilità di Dio, poiché se Dio è innominabile, Egli non può nominare alcuna cosa nel mondo. Solo se Dio è inconoscibile, l’uomo può pensare della sua stessa conoscenza come autonoma.

Le Sacre Scritture insegnano che al momento della creazione, Dio nominò tutte le cose che aveva creato; Dio desidera far conoscere il proprio nome e che Dio nella pienezza dei tempi inviò il proprio Figlio, la piena espressione della propria sostanza, a parlare in suo nome in mezzo agli uomini. I filosofi greci ritenevano che conoscere il nome di Dio era lo stesso che conoscerne esaustivamente l’essenza. Filone identifica la rivelazione mosaica, con la rivelazione del Dio senza nome pagano. La dottrina della innominabilità di Dio conduce ad una teologia negativa che è sempre nella propria essenza senza significato. Nella Bibbia l’uomo non può parlare a Dio, a meno che Dio non parli all’uomo. Nella teologia negativa, Dio non è distinto dall’uomo tanto da potere parlare a quest’ultimo. L’uomo per essere realmente uomo, non deve essere distinto da Dio. Filone afferma che risaliamo alla natura di Dio partendo dal mondo, ma se la conoscenza del mondo è ottenuta tramite l’esperienza dei sensi che è soltanto ricettiva, allora la conoscenza del mondo dipende dal principio razionale attivo e divino. La conoscenza dell’uomo è vera perché partecipa della conoscenza divina. Nello stesso tempo tale conoscenza è quella del Dio senza nome e sconosciuto, ed ha come scopo il governo dell’irrazionalità che è nell’uomo. Il Dio trascendente di Filone e la sua razionalità ha come correlativo l’irrazionalità o il caos. In tale sistema come può essere l’uomo sicuro che colui che si rivela a lui sia veramente Dio. Filone afferma che il mondo è creato dal Logoa, essendo il logos espressione della ragione divina, il mondo che lui crea dovrebbe essere razionale. Ovviamente il problema sorge con la teodicea ossia con la giustificazione del male presente nel mondo. E’ a questo punto che Filone sente l’esigenza di demitologizzare l’Antico Testamento per il tramite dell’allegoria. Tramite l’allegoria, la Torah è presentata come non esteriore all’uomo, ma come una legge che procede dalla coscienza etica dell’uomo. L’allegoria riduce la rivelazione di Dio attraverso Cristo ad Israele ad una teologia mistico-razionale. E’ così eliminata la specificità temporale dell’antico patto, che diviene un sistema etico a-temporale.

Filone in realtà non si allontana dallo schema greco "forma-materia", ad esempio nell’opera De Opificio afferma che la creazione è il dono della forma alla materia informe, un’imposizione della legge sulla materia. Pertanto il primo capitolo della Genesi ha come unico scopo quello di affermare che Legge e cosmo sono in reciproca armonia, e l’uomo deve regolare la propria condotta alla Legge naturale presente nell’universo. Tale legge cosmica non è diversa dalla Legge mosaica, ed essa ha un riscontro nella coscienza etica dell’umanità. Ma mentre gli uomini possono accedere alla conoscenza dell’esistenza di Dio, solo tramite la rivelazione mosaica possono comprendere qualcosa dell’essenza di Dio. I filosofi stabiliscono che Dio è, mentre i giudei dicono chi Dio è. In entrambi i casi è all’opera la medesima "legge".

In realtà secondo il messaggio biblico non è possibile provare che Dio esiste senza conoscere nulla della Sua natura. Al contrario per Filone l’esistenza di Dio che i filosofi raggiungono, è fondata su una riflessione sulla natura del mondo e dell’uomo, anche se è la natura dell’uomo che è maggiormente capace di dar conto dell’esistenza di Dio. Il cosmo è espressione della bellezza, del potere e della forza del Logos o Ragione o Legge. Dio si manifesta all’uomo per il tramite della mediazione del Logos; il Logos è la conoscenza divina che si rende manifesta nel momento in cui Dio conosce. Anche i filosofi greci ritenevano che la mente dell’uomo partecipasse alla mente di Dio. Essi come tutti i discendenti di Adamo erano attivamente impegnati a sopprimere il fatto di essere creature di Dio e dunque solo in possesso di una conoscenza "analogica", ma ritenevano assodato che se l’uomo poteva conoscere qualcosa, egli doveva conoscere nello stesso modo esaustivo di Dio. Parmenide sottolineava tale situazione, ritenendo che esiste soltanto ciò che l’uomo può senza contraddizione affermare che esiste. Nello stesso modo, tutto ciò che esiste deve essere senza mutamento ed eterno. La conoscenza dell’uomo deve allora essere conoscenza di quanto è eterno. L’uomo può conoscere solo nello stesso modo in cui Dio conosce, anzi quando l’uomo conosce è lo stesso Dio che conosce tramite l’uomo. Solo Dio conosce Dio, e non vi è nulla che esista oltre Dio. Verità ed Essere non sono oltre le possibilità conoscitive dell’uomo. Anche se i filosofi parlavano di Dio distinto dall’uomo, questa affermazione era contraddetta dalle loro gnoseologie. Per giustificare l’individualità, erano costretti a fare ricorso ad un principio irrazionale: la materia. Dio veniva ridotto ad una pura ed astratta forma, correlativa ad una pura ed astratta materia.