I mali del capitalismo: colpa di Calvino?
Nel commentare la crisi finanziaria originata negli Stati
Uniti, alcuni economisti hanno fatto riferimento alla figura del riformatore ginevrino Giovanni Calvino, attribuendogli la
responsabilità di avere sdoganato il sistema capitalistico e le sue logiche di
sfruttamento. Ma le cose stanno davvero così? In realtà affermare che Calvino ha inventato o benedetto il capitalismo è una
ridicola superficialità. Certamente Calvino fu un
teologo che si preoccupò anche di finanza ed economia. Ma l’idea che il
successo materiale ed economico possano essere segno
di benedizione divina non è presente in nessuna delle sue opere e pertanto gli
viene attribuita a torto, sovente citando in modo impreciso le tesi del
sociologo Max Weber contenute nel suo famoso saggio “Lo Spirito protestante e l’etica del capitalismo”. Se a Calvino fosse oggi permesso dare un giudizio sulla economia capitalistica, egli denuncerebbe l’ingordigia e l’egoismo,
l’accumulo di denaro che non è frutto dell’attività umana ma della
speculazione. Insomma proporrebbe una critica teologica del sistema
capitalistico. Ma è anche opportuno ricordare che Calvino non
condanna la ricchezza in quanto tale. Calvino aveva una
formazione giuridica e aveva conoscenza di ciò che attiene
al vivere dell’uomo - politica, economia e quindi anche denaro e lavoro, tutte
cose che hanno un valenza positiva in quanto tutte opportunità donate da Dio se
finalizzate al bene dell’uomo. Sporco o peccaminoso non è né il mondo né il danaro ma semmai l’uomo peccatore perché ribelle a Dio. Dio
chiama l’uomo a progettare una città vivibile e giusta ma è l’uomo che
costruisce Gomorra. Calvino non inventa e non
benedice il capitalismo ma alla luce degli
insegnamenti della Bibbia, delinea un’etica del lavoro che favorirà lo sviluppo
dell’impresa capitalistica: il denaro non va dissipato ma reinvestito per il
bene sociale. Ciascun credente ha ricevuto da Dio una “vocazione” ossia una
missione da compiere nel mondo. Il lavoro è un aspetto di questa missione.
Pertanto il calvinismo esalta il lavoro come atto religioso. Mercante o
ministro della Chiesa, operaio, insegnante o uomo di stato, il calvinista sa
che il suo mestiere o la sua professione non sono soltanto un affare personale, ma vocazione divina. Il tempo
non va sprecato nell'ozio, come non si deve sprecare il denaro in piaceri
carnali od in frivolezze. Anche il guadagno è qualcosa
di sacro, in quanto è il segno della benedizione di Dio nei confronti
dell'attività svolta dal credente. Il guadagno non può essere dissipato ma deve essere impiegato con scrupolo, o in
beneficenza o in nuovi investimenti.
Ma se ogni
mestiere è sacerdozio, ne consegue che i credenti sono su un piede di
parità fra di loro. Nessun privilegio ereditario ha
più ragione d'essere, se la predestinazione divina può trarre l'ultimo dei
plebei più in alto ancora del più nobile degli aristocratici. Le tendenze
repubblicane fanno del calvinismo un pericolo per le monarchie assolute, la sua
morale del lavoro e la sua concezione egualitaria ne
fanno un pericolo per le aristocrazie del sangue e della spada.
In generale la Chiesa medioevale aveva osteggiato l'idea che si potesse trarre un utile dal denaro dato in prestito, sulla
base della considerazione che il denaro non potesse produrre altro denaro. Il
calvinismo invece considera legittimo l'investimento del capitale dietro
corresponsione di un interesse. Mentre il cavaliere spagnolo può sperperare in
ostentazioni di grandezza i tesori rapiti nell'America, l'austero mercante
calvinista vive la sua vita di sobrietà e di risparmio, in mezzo a ricchezze
sempre crescenti, di cui egli tuttavia non tocca altro che una parte minima per
le proprie esigenze personali, reinvestendo la maggior parte di esse in nuove imprese economiche. Mentre la scoperta
dell'America fa affluire sui mercati europei quantità enormi d'oro e d'argento
e stimola poderosamente la evoluzione economica del
continente, il calvinismo contribuisce a formare la mentalità delle borghesie
europee.
La società di oggi non è ne migliore nè peggiore di quella di ieri, essa è semplicemente complicata
come lo è sempre stata. Pertanto sia il meglio che il
peggio convivono al suo interno e talvolta si radicalizzano.
Ciò che Calvino insegna ancora oggi ai credenti di fede evangelica
è che il male non va tanto cercato nelle istituzioni, che vanno comunque sempre
criticate, ma piuttosto nel cuore dell’uomo che rimane sempre “insanabilmente malvagio”.
Domenico Iannone