Lettere Unciali in Documenti Antichi

Stele di Rosetta = Monolito di basalto nero, inciso con tre diversi tipi di scrittura, fornì la chiave per decifrare i geroglifici egizi e fondare quindi la moderna egittologia. La stele fu rinvenuta dalle truppe napoleoniche nel 1799 presso la città di Rosetta nel Basso Egitto, ed è ora custodita al British Museum di Londra. La stele fu incisa nel 196 a.C. per commemorare l'ascesa al trono di Tolomeo V Epifane. Dal momento che l'iscrizione è ripetuta in tre scritture diverse – geroglifica, demotica e greca – gli studiosi poterono decifrare le versioni geroglifica e demotica (l'egizio letterario) confrontandole con la terza. Il lavoro di decifrazione fu condotto dal fisico britannico Thomas Young e soprattutto dall'egittologo francese Jean-François Champollion.

P66 = Il codice in papiro identificato dalla sigla P66, è una delle acquisizioni fatte dal bibliofilo e umanista ginevrino Martin Bodmer, fondatore della "Biblioteca Bodmer della letteratura Mondiale" presso Cologny, un sobborgo di Ginevra. Il P66, conosciuto anche come Bodmer II, è un codice papiraceo in maiuscola (onciale biblico), contenente il Vangelo di Giovanni, comunemente datato al II° sec. d.C.

= Codice Sinaitico. Codice in pergamena catalogato con la prima lettera dell'alfabeto ebraico (aleph), viene assegnato al IV° sec. a.C.
Fu scoperto nel 1844 nel monastero greco-ortodosso di Santa Caterina sul Monte Sinai, dal ricercatore Costantino von Tischendorf (1815-1874). la scrittura è continua (cioè senza interruzioni tra le parole "scriptio continua"), senza accenti e spiriti, o segni di interpunzione, eccetto a volte l'apostrofo e il punto alla fine di un periodo. Le lettere sono tutte uguali, mancano ornamenti, il copista (o i copisti) non segue la divisione del testo proposta dallo studioso Eusebio. Tutti questi elementi, insieme alla presenza dell'Epistola di Barnaba e del Pastore d'Erma, fanno propendere per la datazione al IV° sec. Tischendorf pensava che quattro scribi si fossero avvicendati alla copiatura del manoscritto, mentre ben sette alla sua correzione (almeno uno di essi dovette essere contemporaneo ai copisti). Un contemporaneo dei copisti, aggiunse ai margini del codice, i Canoni di Eusebio e le Sezioni di Ammonio.

B = Codice Vaticano. E’ un codice in pergamena ed è così chiamato in quanto fin dal 1475 appare nel catalogo della Biblioteca Vaticana. E' ritenuto essere la più antica copia della Bibbia. Lo scopritore di manoscritti, Tischendorf riteneva che 3 copisti ricevettero l'incarico di approntarlo. Egli identificò il primo copista con quello che aveva copiato l'AT del codice Vaticano, e parte dell'AT e alcuni fogli del NT del codice Sinaitico.

A = Codice Alessandrino. Questo manoscritto è assegnato alla metà o all'inizio del V° sec. d.C. Una nota afferma che fu ricopiato dalla martire Tecla; il Patriarca Cirillo Lucaris aggiunge una nota nella quale spiega che Tecla era una nobile egiziana che lavorò alla stesura del manoscritto poco dopo il Concilio di Nicea del 325 d.C. In effetti nulla di preciso si sa di questa martire, e tale tradizione appare dubbia a causa della presenza dei Canoni di Eusebio (che risalgono a non prima del 340 d.C). Nel codice vi è anche un sommario di Eusebio ai Salmi, a prova del fatto che il salmo 151 e altri brani dell'AT venivano adoperati per uso liturgico.

D(ea) = Codice Beza-Cantabrigese. Questo codice deve il suo nome al fatto di essere appartenuto al riformatore del XVI° sec. Teodoro di Beza. Costui ne fece dono nel 1851, all'università inglese di Cambridge. Beza scrisse nella lettera di accompagnamento al codice, che esso fu sottratto dagli ugonotti, al monastero di Sant'Ireneo in Lione, durante la guerra del 1562. Beza riteneva inoltre, che il manoscritto fosse rimasto nel monastero a coprirsi di polvere per lungo tempo. Sembra al contrario che il codice fosse usato nel 1546 al Concilio di Trento, a causa di una lezione latina di Giovanni 21 avallata solo dal testo greco del codice. In breve il codice era in Italia intorno alla metà del XVI° sec. Attualmente il codice è tendenzialmente datato al V° sec. Il testo è bilingue, Greco e Latino: il testo greco è sul "lato d'onore", quello sinistro. Il testo latino dipende da quello greco, e si discosta da tutti gli altri testi della tradizione testuale latina del NT. Il manoscritto è in pergamena, e conta 415 fogli di 26x21,5cm. Il testo è su una colonna per pagina, con righe di diversa lunghezza corrispondenti ad unità di senso, onde rendere agevole la lettura durante il servizio cultuale. Il Codice contiene solo i quattro Vangeli, nel seguente ordine: Matteo, Giovanni, Luca, Marco e pochi versi in latino della 3Giovanni (vv. 11-15).

N =

L(e) =

E(e) =

S = Codice Sinopensis (VI° sec. d.C.). Manoscritto membranaceo (30 cm x 25 cm), assegnato alla seconda metà del IV° sec. d.C. Fa parte della famiglia dei codici in pergamena tinta di porpora, che tanto indignavano Girolamo, che ne condannava la magnificenza.
I 43 fogli superstiti conservano brani del vangelo di Matteo, probabilmente in origine il codice comprendeva anche gli altri vangeli. Il nome di questo manoscritto deriva dall'antico nome della città turca nella quale nel 1899 un'ufficiale francese (Jean de La talle) lo acquistò, rivendendolo in seguito alla Biblioteca Nazionale di Parigi. Si sa dell'esistenza di un 44° foglio, ma non se ne conosce l'ubicazione. Il testo del manoscritto è su due colonne di 16 linee, i fogli miniati sono 15. La scrittura è una maiuscola biblica in inchiostro aureo su pergamena purpurea.