Colossesi 2:8 "Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini e gli elementi del mondo e non secondo Cristo."

Una variazione del motivo: materia/forma.
Plotino e le "emanazioni"

Plotino (204-270 d.C.), nasce a Licopoli in Egitto, ed è considerato l’ultimo grande filosofo greco. Plotino studia filosofia ad Alessandria presso la scuola neoplatonica di Ammonio Sacca. Successivamente, per meglio approfondire la conoscenza delle filosofie orientali, segue le legioni romane in una spedizione in Persia. Stabilitosi a Roma e fondata una sua scuola, riscosse grande successo e celebrità, si narra che persino l’Imperatore e sua moglie assistessero alle sue lezioni. Ebbe quindi la possibilità di fondare in Campania una città governata dai filosofi, il cui nome doveva essere Platonopoli, ma il tentativo fallì. Si considerò un commentatore dei testi di Platone. La sua filosofia è contenuta in un unico testo chiamato Enneadi, una raccolta dei suoi insegnamenti eseguita dal discepolo Porfirio.

L’Uno ossia l’impersonalismo pagano

Genesi 15:1 "Dopo questi fatti, la parola del SIGNORE fu rivolta in visione ad Abramo, dicendo: "Non temere, Abramo, io sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà grandissima"."

Genesi 15:7 "Il SIGNORE gli disse ancora: "Io sono il SIGNORE che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti questo paese, perché tu lo possegga"."

Genesi 17:1 "Quando Abramo ebbe novantanove anni, il SIGNORE gli apparve e gli disse: "Io sono il Dio onnipotente; cammina alla mia presenza e sii integro."

Si è già detto come l’uomo ribelle a Dio, cerchi con la filosofia di trovare una spiegazione a due verità che sembrano apparentemente inconciliabili: 1) l’evidenza del molteplice che si riscontra nel mondo sensibile; 2) un’unità da cui tutto sembra scaturire. Plotino elabora una filosofia che tenta di spiegare il molteplice estremizzando la "ultimatività" dell’unità. Ogni cosa esistente è "emanata" dall’Uno, cioè da un essere infinito e assoluto. L’Uno è ciò in virtù del quale tutte le cose sono unificate, pur rimanendo molteplici, mescolate e contraddittorie. In tal senso l’Uno di cui parla Plotino non è dissimile dal "Tutto" dell’antica religione greca.

L’Uno è indefinibile (se fosse definibile diverrebbe particolare, quindi non sarebbe assoluto), per questo egli si trova aldilà della comprensione umana. Il mondo degli uomini è molteplice, soggettivo, mutevole, l’Uno è unico, immutabile e necessario, al di là dell’esperienza umana, oltre il linguaggio e la ragione. L’Uno plotiniano, diversamente dal Dio uno e trino, non possiede alcuna caratteristica personale e come tutto il "divino" ispirato dal dualismo materia/forma, è solo un’astrazione formale senza nessun contenuto concreto, senza alcuna reale capacità di rapportarsi al molteplice materiale.

2. Le ipostasi ossia il politeismo

Deuteronomio 5:7 "Non avere altri dèi oltre a me."

Deuteronomio 6:14 "Non seguirete altri dèi, presi fra gli dèi degli altri popoli intorno a voi"

Deuteronomio 8:19 "Ma se ti dimenticherai del SIGNORE tuo Dio, e seguirai altri dèi e li servirai e ti prostrerai davanti a loro, io vi dichiaro oggi solennemente che certo perirete."

Per Plotino l’Uno è senz’altro il "bene" assoluto e definibile solo per via negativa (entrambi evidenti riferimenti a Platone). Una delle principali differenze tra l’Uno plotiniano e il Dio uno e trino è che l’Uno non crea il mondo volontariamente, ma in modo necessario rispetto alla propria natura. Inoltre l’Uno non crea nel tempo, ma crea da tutta l’eternità. Plotino per spiegare tale tipo di creazione usa la metafora della fonte e del ruscello: la fonte é l’ Uno e il ruscello che scende a valle é la realtà; la metafora suggerisce che la fonte é sì diversa dal ruscello, ma che tuttavia non c’é l’ atto creatore: l’essere procede dall’Uno in modo a-temporale, a differenza di quanto dice il cristianesimo. L’Uno non crea il mondo in modo conscio, ma questo sgorga dall’Uno come l’acqua dalla fonte, come il calore emana dal fuoco. La perfezione e vitalità dell’Uno è tale da traboccare, creando successivi livelli di realtà. Questi ulteriori livelli sono creati per emanazione, più precisamente procedono dall’Uno attraverso un’attività teoretica, ossia quando l’Uno pensa se medesimo (un evidente riferimento ad Aristotele).

Le Ipòstasi (letteralmente "ciò che sta sotto", "fondamento") è il nome dato da Plotino ai livelli di realtà creati dall’Uno nel processo di emanazione. Visto che l’Uno è l’unica entità assoluta, i sottostanti livelli di ipòstasi sono sempre più imperfetti mano a mano che ci si allontana dalla sua perfezione. Esiste quindi una gerarchia delle ipòstasi:

1. L’Uno si trova al vertice del processo;
2. Il Nous (intelletto o spirito), nasce dalla contemplazione dell’Essere su se medesimo;
3. L’Anima, il principio che dà la vita e che crea le cose materiali come coscienza del sensibile.

Si può notare come tutte le ipòstasi abbiano per contenuto la medesima "essenza": non vi è separazione tra le ipòstasi, poiché l’emanazione che deriva dall’Uno è continua (come il calore che viene dal fuoco, seppur attenuato mano a mano che ci si allontana dalla fonte, è sempre quel’unico calore che appartiene a quella medesima fonte).

L’ ultima ipostasi , derivante dal nous come il nous deriva dall’Uno, é l’ anima (Psichè). Essa è generata dal nous che pensa se stesso. In Plotino l’anima rappresenta il ragionamento discorsivo (la dianoia platonica), il nous rappresenta l’apprensione intellettuale delle idee (la noesis platonica) e l’ Uno (il bene platonico) rappresenta la forma suprema di conoscenza della realtà e si identifica di fatto in dio. L’anima ha a che fare con la molteplicità, essa è come uno specchio rotto che moltiplica all’infinito le immagini, ad esempio l’anima prende le idee e le moltiplica: se l’idea di cavallo nel nous é una, essa nell’ anima viene moltiplicata e ci sarà pertanto il cavallo bianco, quello nero, quello grosso, quello piccolo ect. L’Anima può operare in tal modo poiché essa si muove. Ella può "oscillare" elevandosi verso lo Spirito dell’Essere e dell’Uno, oppure precipitare nella materia (dell’uomo, come delle piante, come della roccia, in un ordine decrescente di consapevolezza).

3. La materia ossia il rifiuto della creazione

Genesi 1:31 "Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono. Fu sera, poi fu mattina: sesto giorno."

La materia non è propriamente un’ipòstasi, ma appartiene comunque gerarchicamente all’Anima quale suo sotto-prodotto. La materia quindi è pura apparenza prodotta dall’Anima, la quale crea la sensibilità, ovvero la percezione. La materia, essendo l’ultimo livello possibile nel quale si manifesta l’emanazione dell’Uno (il lembo estremo di tale emanazione), non ha la forza per creare da sé le cose: essa ha in sé la forza vitale e creatrice dell’Anima, ma il movimento delle cose, il loro crearsi, il loro mutare, il loro distruggersi, rimane solamente un’apparenza, per cui la materia si configura come puro ricettacolo di forze, come movimento illusorio che viene a crearsi in modo solido solo nella percezione umana. Come già in Platone e in Aristotele, è la materia a creare il disordine nella realtà, anche se Plotino afferma che la materia é sì origine del male perchè oppone resistenza alle idee impedendo loro di manifestarsi completamente, ma è anche detto che essa in realtà "non esiste", o meglio esiste solo negativamente. Tale tendenza a negare la realtà creata da Dio è un ulteriore elemento che testimonia del desiderio di autonomia dell’uomo depravato. Per Plotino la materia è come il buio che circonda la sfera di luce di una lampada quanto più ci si allontana dalla fiamma. Le ipostasi mano a mano che si scende tendono ad allontanarsi dall’Uno. La materia allora non e altro che il buio, ossia non c’è neppure, ed esiste solo dove si esaurisce la potenza emanativa dell’ Uno. Se non c’è la materia, che del male é il principio, allora non può esserci neanche il male.

4. Il ritorno dell’uomo all’Uno ossia la negazione del ravvedimento

Romani 2:4 "Oppure disprezzi le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza e della sua costanza, non riconoscendo che la bontà di Dio ti spinge al ravvedimento?"

2Corinzi 7:9 "ora mi rallegro, non perché siete stati rattristati, ma perché questa tristezza vi ha portati al ravvedimento; poiché siete stati rattristati secondo Dio, in modo che non aveste a ricevere alcun danno da noi."

2Corinzi 7:10 "Perché la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c'è mai da pentirsi; ma la tristezza del mondo produce la morte."

In che modo l’uomo può venire a contatto con l’Uno del quale è parte? Plotino afferma che l’uomo può, comprendendo la propria anima particolare (che è emanazione dell’ipostasi Anima) può tornare ad immergersi nell’Uno da cui si è distaccato. Se ogni cosa è emanata dall’Uno, allora ogni cosa è l’Uno, seppur con una "densità" minore. Le tappe di questo percorso a ritroso sono:

1. Il rispetto dei doveri sociali, i quali abituano l’uomo alla disciplina;
2. La contemplazione della bellezza e dell’arte;
3. L’amore;
4. L’amore per la sapienza e la filosofia;
5. Il superamento di ogni realtà materiale attraverso l’estasi.

Si nota come ogni tappa sia gerarchicamente subordinata in importanza alle altre, similmente al processo delle ipòstasi. In particolare la bellezza (l’arte e la musica) ha la proprietà di trasmettere l’idea dell’Uno al mondo della materia e quindi agli uomini. La contemplazione della bellezza, il provare l’amore e la passione per la filosofia, producono nell’uomo una tensione alla bellezza assoluta che purifica l’anima degli uomini e li avvicina all’Uno.

La suprema purificazione dell’anima sopraggiunge con l’estasi, ovvero il definitivo abbandono dell’esistenza individuale in favore di un’immersione totale nell’Uno, non diversamente da ciò che predica il buddismo. L’uomo non ha bisogno di alcuna guida spirituale, nè dell’intervento di un apparato religioso. L’Uno non è Colui che salva il mondo dal male, poichè per Plotino è l’uomo che con le proprie forze ritorna alla fonte del bene. In Plotino, come in Platone ed Aristotele, l’Uno non ama il mondo, ma solo se medesimo. L’Uno è amato dal mondo e non necessita di un salvatore. L’Uno dona ogni bene all’altro da sé, non per amore ma per la necessità della sua natura sovrabbondante, non diversamente dalla luce che illumina tutte le cose per necessità di natura.

Il male é inteso da Plotino come mancanza di bene. Vi è male dove l’emanazione dell’Uno non riesce ad arrivare. Per tale motivo la materia è intesa essere "male" e non-essere. Certo che se dico che la materia non esiste e neanche il male, allora tutto ciò che esiste deve essere bene. Plotino per non cadere in contraddizione, afferma invece che il male é relativo: i beni del corpo di per sè sono buoni perchè esistono (tutto ciò che esiste, é bene) , ma diventano cattivi nel momento in cui fan calare di livello l’uomo distogliendolo da altre attività più elevate. Dunque per Plotino il male é inteso come una scelta esistenziale autodiminutiva. Fuggi il molteplice (Ofeleie ta panta = fuggi tutte le cose) è il motto del filosofo, come "conosci te stesso" lo era per Socrate. Per Plotino "fuggire dal mondo" non vuol dire auto-limitarsi, ma arricchirsi ritrovando dentro sè l'Uno. La fuga dal mondo non vuol dire tanto abbandonare ogni bene, quanto piuttosto fuggire il molteplice. Ciò ha fatto pensare a qualcuno che si fosse molto prossimi all’evangelico impoverirsi per ritrovare Dio. Il contatto-rapimento con l'Uno (con cui si concludono le Enneadi, ossia la fuga da solo a solo fra l'uomo e Dio) è per Plotino l'esperienza di Platone e di molti altri filosofi (Platone diceva: "è filosofo chi vede l'intero, chi no no"). Il ritorno a Dio presuppone che ciascun uomo è la sede di un’anima che preesiste al corpo e si è incarnata staccandosi dall'Uno. All'atto della nascita l'anima perderebbe coscienza di questo contatto; scopo dell’uomo è ritornare alla bellezza originaria. Platone era convinto che l'uomo non cercherebbe con tanta energia una cosa della cui esistenza non è nemmeno certo se la sua ricerca non fosse conseguenza del ricordare sempre più quel momento prima di incarnarsi in cui conosceva tutto. Ci sono nell'uomo due opposte forze che si scontrano, senza corrispondere chiaramente a due parti-funzioni della nostra anima distinte e contrapposte. In Platone la felicità coincide con la realizzazione della propria essenza eterna, ingenerata e imperitura, nell’iperuranio o mondo delle idee, mentre per Plotino la felicità è divenire tutt’uno con l’Uno l’Uno (che non è solo il mondo delle idee, ma anche Demiurgo). La felicità e la realizzazione dell'uomo sono nel ritorno all’Uno, anche se questo comporta la fine della nostra individualità di anima singola e di corpo. Plotino polemizzò con Agostino secondo il quale nel ritorno al Dio cristiano (non uguale del tutto all’Uno plotiniano) partecipa anche il corpo.

1Corinzi 15:51-52 "Ecco, io vi dico un mistero: non tutti morremo, ma tutti saremo trasformati, in un momento, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba. Perché la tromba squillerà, e i morti risusciteranno incorruttibili, e noi saremo trasformati."