Fede e Legge. Un binomio irriconciliabile?

Le Sacre Scritture intendono indicare con l'espressione Legge , il Patto stipulato da Dio con Israele al monte Sinai, comprendente oltre ai Dieci Comandamenti, anche la storia delle origini di Israele, l'interesse di Dio nei suoi confronti e vari tipi di prescrizioni (sacrificali, festive, sociali, morali). Tutto questo materiale è contenuto nei libri di Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Da quanto detto il termine Legge  può addirittura apparire fuorviante, specie se consideriamo il resto dei testi veterotestamentari che si prefiggono più o meno esplicitamente di essere un'ulteriore articolazione di tale Legge. Il termine Legge traduce impropriamente l'ebraico Thorà, il cui significato proprio è insegnamento . Tra gli scopi della Legge non figurava certo quello di dare la giustificazione , tuttavia la fede, anche nell'Antico Testamento, è giudicanta sicuramente come una conseguenza dell'udire la Parola di Dio. La Legge insegnava quale fosse il contenuto della volontà di Dio, in relazione ai destini di Israele e del mondo.

I Giudei e la Thorà.

Certamente per il pio israelita la Thorà, non era un coacervo di prescrizioni esteriori senza nessun tipo di aggancio con la propria pietà e devozione, quanto piuttosto l'unico modo per conoscere Dio e le esigenze della Sua santità. Abbiamo già detto che l'espressione Legge non traduce correttamente il senso del termine Thorà che risulterebbe più comprensibile se tradotto con insegnamento , cammino spirituale .
La Thorà era l'insegnamento sulla base del quale Dio desiderava fondare la propria relazione con il popolo di Israele. Si può dire che il resto dei libri dell'attuale Antico testamento sono uno sviluppo in armonia con quanto, in nuce, è contenuto nel Pentateuco. Durante il periodo dell'esilio babilonese, il popolo giudaico ritrovò la propria identità nazionale, stringendosi attorno al cuore di quanto sentiva essere proprio peculiare patrimonio religioso: il Pentateuco. Con il tempo il Pentateuco venne sensibilmente reinterpretato non come la rivelazione della giustizia e dell'amore di Dio nei confronti di Israele, quanto piuttosto come un formulario di norme di diritto civile e penale. La Thorà in tal modo veniva depurata  da tutto quello che non si prestava ad essere inquadrato in norme di diritto. Inoltre, qualche secolo prima dell'inizio dell'era cristiana, negli ambienti teologici si era diffusa la convinzione che oltre alla Legge mosaica scritta, vi fosse una Legge orale, la quale completava e spiegava il contenuto generale della Legge scritta. Oltre a tutto ciò, accanto alla Legge orale, che si riteneva essere stata data da Dio a Mosè sul monte Sinai allo stesso titolo della Legge scritta, vi erano un gran numero di corollari e deduzioni tratti dalla Legge orale, chiamati ripari della Legge . Lo scopo di tali ripari  era quello di impedire che i divieti e gli obblighi della Legge scritta fossero interpretati elasticamente  (vedi a tal proposito Matteo cap. 4 per il rigore con il quale i Farisei interpretavano il 4° comandamento). La Legge orale aveva come unico criterio di oggettività quello della competenza dei vari rabbini che ne definivano nel tempo in modo sempre più preciso le norme.
Tale rimando a rabbini, che poggiavano il proprio insegnamento sull'autorità di altri rabbini, deve essere stata alla base della meraviglia di coloro che ascoltavano Gesù predicare e che trovavano il Suo insegnamento libero da tali rimandi (Matteo 7:28-29).

Legge e Nuovo Testamento

Meditando sull'insegnamento di Gesù, contenuto nei Vangeli, si ha l'impressione che esso non vada tanto nella direzione di un'interpretazione spiritualizzante  della Legge mosaica, quanto piuttosto nella contestazione del modo rabbinico  di interpretare e applicare la Legge nei vari casi concreti. Così Cristo si preoccupa, non solo di rileggere la Legge in relazione all'Avvento del Regno, ma anche di correggere quella particolare interpretazione rabbinica della Legge conosciuta con il nome di Tanak . Leggendo il cap.5 del Vangelo di Matteo, notiamo Cristo particolarmente impegnato nel controbattere agli insegnamenti fallaci della Tanak (nota in particolare le citazioni extra-bibliche introdotte dalla formula fu detto agli antichi , Matteo 5:21, 27, 31, 33, 38, 43). Prima di entrare nel merito della relazione intercorrente tra Vangelo e Legge conviene riflettere sulla peculiarità del ministero terreno del Cristo. La grandezza morale  del Cristo è sovente posta in relazione con la Sua capacità di poter praticare integralmente la Legge, al contrario di quanti, se pure animati dalle migliori intenzioni vi avevano provato prima di Lui, senza tuttavia riuscirvi. Tale interpretazione è estrapolata da alcuni brani paolini dove sembra che l'impossibilità della Legge di giustificare sia dovuta al fatto che essa può essere praticata dall'uomo peccatore nella sua completezza (Galati 3:10) ma, che dire di un Paolo fariseo che ammette di essere stato un irreprensibile praticante della Legge già prima della sua conversione ? (Filippesi 3:6)
In Matteo 5:17 Gesù afferma: Non sono venuto per abolire la Legge ma per metterla in pratica , traduzione questa che attribuisce al verbo
plerwsai il senso improprio di compiere, mettere in pratica , piuttosto che quello proprio di completare, perfezionare , il brano in questione andrebbe pertanto letto: La mia missione non è quella di liberarvi (katalusai, sciogliervi) dalla Legge, quanto piuttosto quella di completarla .
Cristo, con il proprio insegnamento non solo non ha accantonato l'importanza della Legge mosaica, ma ne ha riaffermato la obbligatorietà per l'uomo, anche se alla luce di alcune rettifiche come vedremo. Risulta, dunque, errato ritenere che Cristo abbia con il proprio insegnamento mostrato il vero senso della Legge mosaica  spostandone le esigenze dalla esteriorità, alle motivazioni e agli atteggiamenti interiori del cuore dell'uomo, quasi come se la Legge fosse stata per il passato architettata da un legislatore diverso dal Dio che scruta i cuori , capace di preoccuparsi soltanto degli aspetti esteriori della condotta umana. La morte di Cristo sulla croce ha completato  la Legge, abolendo di un sol colpo tutta la complessa pratica connessa al rituale del Tempio e quanto ad esso connesso (sacrifici, sacerdozio, decime ed offerte ect.).
Prima ancora di morire sulla croce, Cristo abolisce, a volte in modo non molto esplicito, tutta una serie di prescrizioni legali , è il caso della distinzione tra carni pure ed impure, della pena di morte per l'adulterio, della necessità di unire sfera politica e sfera religiosa, etc.
Secondo l'AT i Dieci Comandamenti sono la base  (Esodo 34:28) sulla quale il Patto Sinaitico è stipulato e ciò significa che l'allenza sinaitica non prescindeva dalle esigenza di santità del popolo di Israele. Non diversamente il nuovo Patto nel sangue di Cristo, non può prescindere dalle medesime esigenze di santità, anche se è lo stesso Cristo che santifica i credenti, incapaci di farlo da soli;.
Va anche sottolineato il fatto che nonostante la Legge sia riassunta  nei due grandi comandamenti (Matteo 22:34-40), ciò non toglie che tale riassunto per diventare comprensibile abbia bisogno del testo intero  del Decalogo.

Paolo e la Legge.

Anche Paolo nelle sue epistole si è confronta con quella particolare interpretazione del concetto di Legge che va sotto il nome di Tanak, cioè la Legge secondo l'interpretazione rabbinica. Paolo è preoccupato di trasmettere tanto ai Giudei quanto ai Gentili convertitisi al cristianesimo, il significato e la portata dell'essere stati giustificati e il modo di procedere in modo conforme a tale nuovo stato. Paolo ritiene impossibile acquistare la giustificazione (la salvezza) mettendo meccanicamente in pratica alcuni precetti della Legge mosaica, poichè la pratica di queste opere della Legge  andrebbe a tutto detrimento del significato dell'opera di Cristo sulla croce. Secondo Paolo, i Gentili desiderosi di diventare credenti, devono essere incoraggiati a sottomettersi alla Parola di Dio, senza domandare loro di osservare la Legge . E' chiaro dal contesto che con questo termine Paolo intende riferirsi all'insegnamento di quei credenti di provenienza giudaica che ritenevano necessario per la salvezza (giustificazione) la pratica della circoncisione. Paolo è convinto che la sola condizione per essere salvati è quella di accettare il sacrificio di Cristo, e che qualsiasi cedimento alle richieste dei cristiano-giudei significherebbe uno scadimento dalla grazia  (Galati 5:4). Se leggiamo con attenzione Galati cap.3 scopriamo che l'argomentazione di Paolo è diretta proprio contro l'opinione secondo la quale i Gentili avrebbero dovuto accettare la Legge come condizione, o come requisito fondamentale per l'ammissione nella comunità cristiana. Paolo argomenta nè prendendo posizione per una fede fondata esclusivamente su sè stessa e neppure si schiera apertamente contro una teologia delle opere, ma nega che sia giusto chiedere ai credenti-gentili l'osservanza della legge mosaica onde diventare autentici figli di Abramo . Paolo ritiene che la sola fede  debba essere il criterio per poter entrare a far parte della comunità cristiana, mentre i suoi oppositori chiedevano anche la circoncisione e la pratica della legge mosaica (Gal. 2:11-14; 4:10). In Galati non è in causa il farsi circoncidere o meno, praticare o meno la legge giudaica, ma il fare di tali pratiche come criterio per l'ammissione in seno alla Chiesa di Cristo. In Romani 8:3 Paolo parla di una impossibilità  della Legge a salvare. Cercheremo di stabilire se questa impossibilità è connessa al fatto che Paolo pensa che in nessun caso l'uomo possa mettere per intero in pratica ciò che la Legge prescrive (impossibilità quantitativa); oppure se tale impossibilità è connessa al fatto che anche nell'ipotesi di una Legge messa integralmente in pratica, il risultato che si raggiungerebbe non risulterebbe comunque gradito a Dio (impossibilità qualitativa).

La Legge nell'Epistola ai Galati.

Il brano di Gal 3:10 fa pensare che l'impossibilità della Legge a salvare sia dovuta al fatto che essa non possa essere integralmente messa in pratica.
Nell'epistola ai Galati si cerca di dimostrare, facendo ricorso alla storia di Abramo, che i credenti provenienti dal paganesimo per essere giustificati necessitano della sola fede in Cristo. La forza dell'argomentazione di Galati 3:10 si fonda più sul termine 
maledetto che sull'espressione tutte le cose scritte nel libro della Legge : Dio giustifica i gentili per mezzo della fede (3:8), ciò è provato facendo ricorso a Genesi 18:18 dove è affermato che i gentili saranno benedetti in Abramo . Il termine benedetti  immediatamente evoca a Paolo il termine contrario ed il brano di Deut. 27:26 che lo contiene: è detto che coloro che si richiamano alle opere della legge sono sottoposti a maledizione .
Il riferimento al termine legge  sempre nel brano di Deut.27:26, è invece associato da Paolo al brano di Abacuc 2:4 secondo il quale il giusto vivrà per
fede . L'intenzione di Paolo con questo modo piuttosto arzigogolato di costruire la propria argomentazione (modo che ricorda quello dei maestri rabbini), è quella di rendere evidente che è maledetto, cioè lontano da Dio, chi pensa di avvicinarsi a lui tramite la Legge e non la fede.

Nell'epistola ai Galati si sostiene che la Legge è stata un precettore per condurci a Cristo  (3:24), tale espressione fa il paio con quella di Romani 3:20, secondo il quale mediante la Legge è data conoscenza del peccato . Probabilmente, il termine Legge  in Galati 3:23-25 ha una portata più ampia di quello di Romani 3:20, alludendosi probabilmente a tutta la rivelazione veterotestamentaria della volontà salvifica di Dio.
Nel brano di Galati 5:3, Paolo si confronta con le conseguenze risultanti dal volere essere giustificati sottomettendosi a quel segno di identificazione  che è la circoncisione. Tale sottomissione  implicherebbe un'accettazione incondizionata della Legge nella sua interezza!

La Legge nell'Epistola ai Romani.

In Romani 3-4 e 9-11 Paolo tratta un aspetto della Legge differente da quello considerato in Galati, intendendo dimostrare che tanto i Giudei quanto i gentili sono sotto il potere del peccato. Il modo per sottrarsi a tale situazione è la fede in Cristo. Molti interpreti ritengono che nei brani di Rom.3-4 e 9:30-10:13 venga espressa la convinzione che l'inutilità della Legge consista nell'idea che la sua osservanza porti all'auto-alienazione, al vanto e al paradossale rinnegamento di Dio (impossibilità qualitativa). Coloro che seguono tale linea interpretativa ritengono che nel brano di Rom. 3:27 Paolo afferma che la pratica della Legge conduce a vantarsi dei risultati meritori ottenuti: i giudei trasgredirebbero la volontà di Dio proprio con il loro sforzo di essere morali. Riteniamo al contrario, che Paolo in Rom. 3:27 usi il termine Legge  (nomos) dandogli la stessa accezione del medesimo usato in Rom. 2:17-23. Vi è eguaglianza agli occhi di Dio tra credenti provenienti dal giudaismo e dal paganesimo, la fede in Cristo è a disposizione di tutti ed esclude la possibilità di potersi vantare per il fatto diposedere una condizione religiosa privilegiata. Il criterio  (preferiamo tradurre il termine greco nomos non legge, ma principio o criterio) attraverso cui è resa possibile tale eguaglianza è la fede. Tramite l'esempio di Abramo (Rom. 4:2), Paolo dimostra che Dio si relaziona, da sempre, all'uomo attraverso la fede. In conclusione, la negazione della validità della legge come strumento di giustificazione è diretta contro la posizione di privilegio  che essa istituirebbe nei confronti di coloro provengono dalla legge  (i giudei). Tutti coloro che hanno fede-e non più soltanto i giudei- sono il popolo privilegiato di Dio. Si può affermare, sulla scorta di Romani 4, che mai Dio ha trattato con l'uomo a prescindere dalla fede, ma, mentre in passato, la fede era infusa in persone appartenenti ad un popolo in particolare, oggi, tale privilegio è cessato.
Nulla nei brani esaminati fa pensare che il problema della legge abbia a che fare con il fatto che essa conduca a vantarsi di azioni
meritorie. Nell'epistola ai Romani non vi è nulla che possa condurre alla conclusione che la legge avesse fallito nel proprio compito perchè la sua osservanza conduceva all'autogiustificazione, intesa come un vantarsi delle proprie azioni meritorie. In Rom. 10:3 Paolo afferma che Cristo rappresenta la fine della legge , per cui ora la giustificazione è alla portata di tutti coloro che hanno fede. I giudei non hanno trovato la giustificazione pur avendola cercata con zelo,poichè non hanno inteso che in Cristo, Dio stava modificando i termini del suo rapporto con gli uomini. Meglio si attaglia al senso del brano tradurre l'espressione di Romani 10:3 Cristo è il fine della Legge , per non creare contraddizione con il brano di Matteo 5:17. Anche il brano di Filippesi 3:9 è solitamente interpretato come un rifiuto della legge mosaica, fondato sul fatto che essa condurrebbe all'autogiustificazione, contrariamente all'opera della fede cristiana. Tale conclusione riposa sul presupposto erroneo di ritenere che la religione giudaica fosse fondata sull'autogiustificazione e le opere meritorie. L'attacco di Paolo alla legge è diretto contro chi intenderebbe farne la condizione per appartenere al novero dei salvati. Almeno per necessità retoriche Paolo prende in considerazione il fatto che la legge possa essere adempiuta (Fil. 3:6), ma riconosce che alla luce dell'opera del Cristo, tale irreprensibilità non ha valore alcuno (Rom. 3:23; 5:12 ect.). Non va dimenticato che in nessun luogo della Scrittura è affermato che la Legge mosaica fosse strutturalmente impossibile  da praticare. Essa infatti era diretta a peccatori e considerava l'eventualità del peccato, altrimenti non avrebbero senso le prescrizioni levitiche relative ai diversi sacrifici per il peccato.

La Legge e il cristiano.

Nel concetto di santificazione cristiana entra di diritto il concetto di messa in pratica della Legge. Alla Legge è delegato il compito di dirci quali sono i principi per distinguere il bene dal male; essa è la stessa Legge mosaica depurata da tutti quegli elementi esplicitamente aboliti dal Cristo con il proprio insegnamento e con la morte sulla croce. Cristo ha abolito la pena di morte per l'adulterio e la bestemmia, il distinguo tra cibi puri ed impuri, il cerimoniale sacrificale del Tempio e tutto ciò che alla sua esistenza era connesso, il sacerdozio levitico, le decime, le feste giudaiche, la necessità della circoncisione, ect. Non va dimenticato che già al tempo di Cristo molte prescrizioni della Legge non erano più osservate, essendo esse connesse a situazioni particolari, ritenute superate; si pensi alle prescrizioni che Israele doveva osservare durante le sue peregrinazioni nel deserto.

Legge e Storia della salvezza.

Si ritiene comunemente che la giustificazione prima della morte del Cristo sulla croce, non fosse per grazia operante per mezzo della fede , ma ricevuta esclusivamente per il tramite della messa in pratica della Legge mosaica. Cristo avrebbe allora manifestato il proposito di Dio di operare una giustificazione indipendente  dalla Legge (Rom. 3:21). La differenza tra Antico e Nuovo Testamento riposerebbe tutta su una differenza nel modo scelto da Dio di salvare l'uomo: sotto il Vecchio Patto, Dio giustifica l'uomo che si impegna con tutte le proprie forze a rispettare i Suoi comandamenti. Con il Nuovo Patto, Dio toglierebbe all'uomo la possibilità di un ricorso a qualche tipo di sinergia nell'opera della salvezza, giustificandolo sulla base esclusiva dell'opera compiuta da Cristo sulla croce, e privandolo di qualsiasi possibilità di vantare  una qualsiasi forma di cooperazione. Secondo i riformatori del XVI° sec, le epistole paoline (in particolare quelle ai Romani e ai Galati) conterrebbero la condanna della pretesa del giudeo all'autogiustificazione per il tramite dell'esercizio della Legge, una pretesa errata solo perchè anacronistica dopo la venuta di Cristo. Ne consegue che l'uomo desideroso di essere salvato per il tramite delle sole opere dalla Legge (desiderio che nasconde l'atteggiamento tutto carnale di acquisire una giustificazione non dipendente esclusivamente da Dio) ambisce solo al vanto e all'autosoddisfazione, attitudini queste del tutto estranee all'evangelo. Cristo tramite l'azione della grazia, sostituirebbe al vanto dell'uomo religioso, l'umiliazione dell'opera compiuta dal Cristo sulla croce. Questa interpretazione che potremmo definire classica , ha lo svantaggio di non considerare la giustificazione alla luce dell'immutabile carattere di Dio. Dio dalla Genesi all'Apocalisse, giustifica l'uomo sempre e comunque per grazia a prescindere dalle opere. Non a caso Abramo è ritenuto essere padre dei credenti  (Galati 3:6-7), lui che visse prima della promulgazione della Legge al Sinai, e che credette alle promesse di Dio ricevendo in tal modo la qualifica di giusto  (salvato).
Allo stesso titolo erano credenti coloro che sotto l'Antico Patto possedevano lo Spirito Santo donato loro per grazia (Nm. 27:18; Isaia 63:11; 61:1; Michea 3:8; Nahum 9:20; per ulteriori referenze consultare una Concordanza alle voci Spirito divino , Spirito di Dio , Spirito Santo ). Lo Spirito Santo era dentro  tali uomini non diversamente da come è presente nei credenti del Nuovo Patto (1 Pietro 1:11, tale precisazione è importante poichè taluni interpreti individuano la differenza tra i credenti dell'Antico e del Nuovo Patto nel fatto che mentre i primi possedevano uno Spirito non dimorante stabilmente in loro, i secondi possono vantare tale stabilità e tale vantaggio sarebbe stato introdotto dall'opera del Cristo che avrebbe in tal modo stabilizzato  l'opera della grazia). Dio ha sempre giustificato l'uomo per grazia donandogli stabilmente lo Spirito Santo. Prima della venuta di Cristo la giustificazione era in vista  dell'opera che Egli avrebbe compiuta sulla croce. Dopo la sua venuta la giustificazione è donata sulla base  della sua morte. La Legge data da Dio ad Israele donava direzione morale a coloro che si mostravano desiderosi di seguirne i precetti (Esodo 19:3-10, vedi anche Esodo 3:7). Che la Legge non fosse intesa a dare giustificazione  è molto chiaramente espresso dalla predicazione profetica. I profeti contestano al popolo di Israele una radicale incomprensione del contesto delle prescrizioni del Levitico (Salmo 50:13; 1Sam. 15:22; Amos 4:4-5; 5:4-6,21-24; Osea 6:6; 8:11-13; Michea 6:6-8; Isaia 1:10-17; Geremia 7:21-28).Il Signore affermava, già sotto l'Antico Patto, di amare la fedeltà e la giustizia non un rituale vuoto ed esteriore, privo di esse. Dio ricerca la fede e insieme l'atto esteriore che l'esprime, la giustificazione insieme alla santificazione.

(autore: Domenico Iannone)