Terzo Comandamento "Non usare il nome di Dio invano"


Terzo Comandamento: "Non pronunciare il nome di Dio invano" "Non pronunciare il nome del SIGNORE, Dio tuo, invano; perché il SIGNORE non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano." (Esodo 20:7) La tendenza del nostro tempo è quella di considerare il nome di una persona come un dato "esteriore", che non riguarda in modo essenziale ciò che un individuo è. Possiamo comprendere la natura degli attributi di un individuo, quali quelli corporei e spirituali, prescindendo completamente dal suo nome. II realtà il nome che una persona possiede, rimanda generalmente, ai suoi genitori che glielo hanno imposto; in tal senso il nome esprimere il fatto che l'individuo non si è auto-creato e che pertanto egli è viene all'esistenza già inserito in una "storia" che è quella contestuale della sua famiglia. Nel mondo antico la relazione tra persona e nome era molto più stretta che non quella attuale, ne sono testimonianza i frequenti cambi di nome dei personaggi biblici in occasione di esperienze cruciali. I nomi biblici esprimono più che "l'essenza" di una persona, la sua "relazione" con il prossimo e con Dio. Per tale motivo deformare il nome di una persona equivaleva ad alterarne il rapporto con la società. Anche ai nostri giorni i nomi vengono sovente alterati per ironizzare sulle persone che li portano, una corretta relazione tra persone implica un corretto utilizzo del nome, ciò vale tanto più per l'uso del nome di Dio. II terzo comandamento proibisce l'attentato alla dignità della persona di Dio. L'avverbio ebraico "LASAW" tradotto con "INVANO", significa in realtà "PER VANITA'","PER FALSITÀ". Nei nostri discorsi di ogni genere: preghiere, predicazioni, conversazioni, dobbiamo porre attenzione ad evitare qualsiasi uso superficiale e carnale del nome di Dio, eviteremo con cura di attribuire a Dio errori, imperfezioni, colpe e così via. Nell'Antico Testamente, Dio si rivela al proprio popolo con molti nomi, il più importante è sicuramente quello caratterizzante il Suo desiderio di rinnovare l'alleanza con l'uomo: YHWH; altri nomi sono EL, da solo o nei nomi composti (EL SHADDAI, Dio Onnipotente, Gn.17:1; EL ELION, Dio Altissimo, Gn.14:18; EL OLAM, Dio d'Eternità, Gn.21:33; EL GANNA, Dio Geloso, Es. 20:5; EL HAI, Dio Vivente, Giosuè 3:10), molto spesso troviamo EL riferito a Dio al plurale, ELOHIM (Gn. 1:1, 26; 3:22); ADONAI (Signore, Padrone, Gn. I5:2, 8; l8:3, 27, 30; Es. 23:I7; 34:23), SANTO D'ISRAELE o SANTO (Is. 1:4; 5:19,24; 6; 40:25 ect.). Tutti i nomi presi in esame rendono conto di alcuni degli attributi di Dio, e inoltre manifestano il desiderio di Dio di essere conosciuto e invocato (Gioele 2:32; Salmo 50:15).

FORME D'ABUSO DEL NOME DI DIO:

1) IL GIURAMENTO. Il giuramento è considerato nell'Antico Testamento come un fatto positivo (Is. 19:l8; 65:16; Ger. 12:16 ; Deut. 6:13); è invece considerato abominevole giurare nel nome di un Dio che non sia l'Eterno (Lv. 19:12; Ger. 5:7). Si ritiene che Cristo abbia mutato tale uso (Matteo 5:34 e Gc. 5:12), in realtà ciò che nel NT è vietato è il giuramento fatto invocando a testimoni il cielo (in quanto dimora di Dio), la terra (quale sgabello dei Suoi piedi) ect.; più precisamente Gesù Cristo censura quei giuramenti che hanno solo l'apparenza di essere tali, e che certuni utilizzavano per ingannare il prossimo ritenendo che non essendo pronunciato il nome di Dio, non si incorresse in una trasgressione del 3° comandamento. In brani quali Rom. 1:9 e 2 Cor. 1:23 Paolo fa uso di formule di giuramento, allo scopo di donare maggiore solennità alle proprie affermazioni, pertanto i credenti in circostanze simili (davanti ad un tribunale ad esempio) possono indubbiamente esprimere formule di giuramento.

2) LA BESTEMMIA. Intendiamo la bestemmia nella duplice accezione di insulto a Dio e indifferenza a Dio. Anche l'idolatria è da intendersi come un insulto a Dio (Is.65:7). Un caso di indifferenza nei confronti della grazia salvifica è la bestemmia contro lo Spirito Santo.

3) MAGIA DEL NOME. Utilizzare il nome di Dio quasi fosse una sorta di talismano è pratica anch'essa errata. Pensiamo a tutti gli usi indebiti del nome di Gesù a fini magici, quasi che questo nome potesse avere un'efficacia a prescindere dalla fede (vedi il caso degli esorcisti giudei in Atti 19:13-16).

4) ABUSO DEL NOME. Usare il nome di Dio invano significa anche utilizzare l'insegnamento di Cristo, per fini personali e dunque al di fuori di una corretta relazione di sottomissione a Dio stesso (2Tim. 2:I9; 1Pietro 1:17). Usare il nome dì Dio per ratificare propri discorsi, sogni e altre fantasie profetiche è altresì errato. L'Antico Testamento in particolare contiene dure requisitorie contro i falsi profeti, i quali ingannavano in buona fede o meno, il popolo di Israele e di Giuda permettendo che versassero in situazione di grave ribellione nei confronti di Dio, proponendo un messaggio che avallava tale situazione. Abbiamo già detto che il desiderio di Dio è quello di essere invocato, in Cristo ci è rivelata la vera natura del nome di Dio, ossia il Suo desiderio di salvare e di essere partner dell'uomo: "se con la bocca avrai confessato il nome del Cristo e con il cuore avrai creduto sarai salvato" (Rom. 10:9).

NOTA: Il nome di Dio, YHWH, appare in composti, nei quali è espressa la relazione dell'uomo con la rivelazione della provvidenza e della salvezza divine: YAHWEH- JIRE', l'Eterno Provvederà Gen. 22:13-14; YAHWEH-RAFA, l'Eterno che ti guarisce Es. 15:26; YAHWEH-NISSI, l'Eterno mia bandiera Es. 17:15; YAHWEH-SHALOM, Eterno pace Giud. 6:24; YAHWEH-RAAH, l'Eterno mio pastore Salmo 23:1; YAHWEH-TSIDKENU, l'Eterno nostra Giustizia Ger. 23:6. Bisogna qui dire una parola sul valore etimologico del nome Javé. Si afferma di solito, poggiando su Esodo 3:14, che esso significa "Egli è", "Io -sono ciò che sono" è in ebraico 'ehyeh 'aser 'ehyeh, che proviene dal verbo hayah, che significa "divenire" o "essere". Dall'equivalente aramaico hawa' possiamo dedurre che originariamente gli ebrei lo pronunciassero 'ahweh. Perciò al tempo di Mosè 'ahyeh doveva essere pronunciato 'ahweh. Mosè, andando in Egitto, per dichiarare di Dio che "Egli è" doveva aver detto Yahweh. Ma se Yahweh indica "Egli è" dobbiamo pensare che con ciò la parola si riferisse alla sua esistenza eterna? (Cosi lo intende Orr traducendolo "il Sussistente" e anche la versione italiana riveduta sostituendolo con l'Eterno"). A questo modo di procedere si possono tuttavia sollevare due obiezioni; a) II verbo hayah, anziché esprimere l'esistenza ontologica, ha il senso di "accadere, entrare in un nuovo stato relazionale". b) II nome Yahweh non è mai usato nei contesti nei quali si afferma l'eterna esistenza divina come tale, ma piuttosto quando si parla della sua manifestazione nel contesto dell'alleanza, come abbiamo già visto. Il che ben si accorda con le affermazioni caratteristiche del patto: "Io sarò - 'ehyeh - il loro Dio ed essi saranno - yihyù - mio popolo". Così in Esodo 6,7: "Io sarò per tè un Dio e tu conoscerai che io sono Iavè", vale a dire: "II Dio del patto stabilito con il popolo della sua alleanza". Si sono tuttavia date altre spiegazioni che negano l'interpretazione "Egli è" in entrambi i sensi precedenti. W.F. Albright (SAC 16) e D.N. Freedman (JBL 79, II, 1960 pò. 151-156) considerano Yahweh come una forma hiphil da yahyeh "Egli fa esistere", traendola dalla frase "Javé Sebaot" (o "Javé degli eserciti") al quale danno il senso originario di "Egli fa esistere le schiere". Tale forma spiegerebbe meglio la vocale iniziale a (che teoricamente dovrebbe essere nella forma normale yihweh e non yahweh). Ma una fatale obiezione a questa ipotesi si ha nel fatto che Javé non e mai usato nell'Antico Testamento per rilevare la funzione creatrice di Dio; tale nome serve sempre per far risaltare l'idea del patto. Di più questo verbo non ricorre mai altrove nell'Antico Testamento nella forma hiphil. Altri hanno negato che vi sia un nesso tra il verbo "essere" (hayah), insistendo sul fatto che è difficile spiegare la forma hawah. Teophile J. Meek di Toronto (Hebrew Origins, 1960, ed., p. 116) insiste sulla sua orovenienza da un verbo hawal esistente in arabo e che significa "soffiare, fischiare". Perciò "Egli-sibila" sarebbe stato il nome del dio della tempesta riconosciuto nel deserto sinaitico. L'autore logicamente attribuisce un'origine politeistica alla religione di Israele senza riuscire a spiegare come mai tale nome sia sempre riunito nello schema dell'alleanza in tutto l'Antico Testamento.