Sesto Comandamento: "Non uccidere"


 

Questo comandamento è un'affermazione non soltanto del valore della vita umana agli occhi di Dio, ma anche la dichiarazione che soltanto Dio può esprimere giudizi di merito sul valore della vita, e infatti che senso potrebbe avere la dichiarazione di un uomo a proposito di tale fondamentale argomento? Dio desidera che l'uomo possa vivere tranquillamente, senza la minaccia di perdere la propria vita. Per tale motivo Dio si erge ad unico giudice della vita, condannando la condotta di chiunque pretenda uccidere indiscriminatamente, sovrapponendo il proprio giudizio al giudizio di Dio. La legge con le proprie sanzioni (compresa la pena di morte) per i suoi trasgressori, evoca il concetto di giustizia. Senza giustizia non è concepibile né la santità individuale, né il convivere civile. Che Dio abbia a cuore questioni di giustizia è dimostrato dallo stesso sacrificio del Cristo, che si sostituisce all'uomo peccatore per portare su se medesimo l'ira destinata a questi (Col. 2:14; 2Cor. 5:21; Gal. 3:10-13; cfr. Deut. 21:23; 27:26; Ger. 11:3). Cristo porta su se stesso la punizione destinata ai peccatori che in Adamo sono venuti meno alle esigenze della giustizia di Dio manifestata nei suoi comandi. I peccatori che si sottomettono a quanto compiuto da Cristo, non debbono temere più l'ira di Dio. In tutto ciò è all'opera il principio giuridico della "retribuzione". Tale principio risponde al sommario "occhio per occhio, dente per dente". Questo principio di equità si estrinseca anche a livello di giustizia civile. Vi deve essere equità anche nella punizione. Dio opera e chiede che si operi sulla base della retribuzione (Giob. 34:11; Sal. 18:25; Ez. 18:4, 20; Gal. 6:7) oltre che della restituzione (Giob. 42:10). Le pene che Dio prescrive per i peccati sociali, sono basate sul principio della retribuzione, restituzione e compensazione. (Es. 21:18-22:7; Lev. 6:4; 24:17-21; Deut. 19:21). In tale prospettiva nessuna delle pene prescritte da Dio è rilassata o eccessiva. L'AT non tratta le pene per il crimine arbitrariamente, ma la punizione è strutturata in modo da rispondere ad un criterio di adeguatezza alla odiosità del crimine commesso, in modo che il criminale riceva ciò che la propria pubblica disobbedienza merita. Secondo la Scrittura, la punizione per il crimine è necessaria (1Tim. 1:9-10) allo scopo di proteggere i buoni (Prov. 12:21; Sal. 125:3) e distruggere i malvagi (Sal. 101:9). Come risultato indiretto, la punizione del criminale può divenire anche un deterrente al male (Prov. 21:11; Deut. 17:13; 19:20). La punizione nella legislazione mosaica non è tesa al recupero o alla riabilitazione del criminale, essa non ha uno scopo "pragmatico", si concentra solo crimine commesso. Per tale motivo l'uomo è detto essere punito in modo proporzionato alla propria colpa (Deut. 22:2), secondo la sua malvagità (2Sam. 3:39), secondo le sue vie (Ger. 17:10; Ez. 33:20), secondo il frutto delle proprie opere (Ger. 17:10; 21:14). Di conseguenza la pena di morte deve essere intesa come la risposta appropriata da parte del magistrato alle violazioni contro alla purezza della relazione nel rapporto tra Dio e l'uomo (idolatria, magia, ect.), la santità della vita (assassinio, adulterio, ect.), l'autorità (violenza nei confronti dei genitori, ect.). Va anche detto che la legge mosaica sottolinea la necessità della certezza della pena (Prov. 11:21), senza riguardi (misericordia o pietà) per il criminale (Ebr. 10:28; Deut. 19:13, 21; 25:12 cfr. Giac. 2:13). La punizione per il trasgressore non poteva essere evitata neppure se questo avesse fatto espiazione tramite sacrifici per il peccato, o si fosse aggrappato all'altare (Num. 19:20; Ez. 5:11; 23:38; Sof. 3:4).. Il verbo tradotto "non uccidere" è in ebraico "rasah", esso significa propriamente: "non versare sangue innocente", "non assassinare", il comandamento dunque condanna l'omicidio doloso, l'assassinio deliberato. Il sesto comandamento è teso a preservare l'immagine di Dio nell'uomo (Gen. 9:5-6), per tale motivo Dio chiede conto del sangue versato a qualsiasi creatura (Esodo 21:29). L'uomo è destinato a tornare alla terra da cui è stato tratto, ma se la sua vita torna alla terra sotto forma di sangue di un assassinato, allora la terra ne rimane contaminata (Num. 35:33), in tale caso lo stesso sangue dell'uccisore è chiamato in causa per l'espiazione. 1. Non tutte le uccisioni sono condannate dal comandamento, anzi nell'Antico Testamento alcune uccisioni sono addirittura comandate da Dio, ad esempio quelle degli animali per potersene cibare (Genesi 9:3). L'argomento dell'amore. Si afferma che il Signore ci ha chiamato ad amare i nostri nemici, pertanto risulterebbe del tutto paradossale ricercare la morte di alcuni di essi. Questo argomento dissociando l'amore di Dio dalla giustizia, potrebbe essere usato addirittura per abolire i tribunali e ogni forma di punizione dei criminali. 2. L'argomento dell'adempimento definitivo della pena di morte con la crocifissione. La pena inflitta a Cristo sul Golgota avrebbe abolito per sempre la possibilità per l'uomo di togliere la vita ad un altro uomo. Questo argomento non distingue tra la morte vicaria del Cristo, e la natura dei tribunali umani e delle pene da loro inflitte. 3. L'argomento delle mutate circostanze storiche. Questo argomento è sostanzialmente fondato sulla considerazione che la pena di morte in Israele era in realtà intesa come un "deterrente", teso ad arginare la pratica della "faida", ossia la vendetta tribale (ad esempio Caino, per sua stessa ammissione meritevole di morte, riceve un sigillo da parte dell'Eterno affinchè nessuno lo uccida "per vendetta" Genesi 4:14-15). Tale argomento riposa largamente su presupposti "evoluzionisti", riassumibili come segue: Israele è stato progressivamente istruito alla giustizia, tramite una legge che prescriveva la morte per alcuni crimini. Con la venuta di Cristo l'umanità ha sperimentato un progrssivo allontanamento dalle barbarie, con conseguente teorizzazione di un diritto più mite, teso al recupero del criminale e non alla sua punizione. 4. L'argomento del "non uccidere". Ma il 6° comandamento non escluda la pena di morte per l'omicida. Matteo 5:17-20 afferma: "Non pensate ch'io sia venuto per abolire la legge od i profeti; io son venuto non per abolire ma per compire, 18 poiché io vi dico in verità che finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà, che tutto non sia adempiuto. Chi dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma chi li avrà messi in pratica e insegnati sarà chiamato grande nel regno dei cieli. Poiché io vi dico che se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli." Matteo 5 ha a che fare con la giustizia che i discepoli di Cristo debbono manifestare allo scopo di entrare nel Regno di Dio (Mat. 5:20). Anche in Matteo 6 è sviluppato il medesimo argomento che è concluso con il sommario: "cercate prima il Regno di Dio e la Sua giustizia". Pertanto avanzamento del Regno, ricerca della giustizia e pratica della legge di Dio vengono intesi strettamente coesi. Il brano di Matteo 5:17-20 esordisce con un "non pensate" (M¾ nom…shte), cioè con una esplicita proibizione, se i nemici di Gesù ritenevano che Egli stesse mettendo da parte la legge mosaica, ecco che il Signore su questo punto li contraddice. Il verbo usato è un congiuntivo aoristo, pertanto l'espressione potrebbe essere tradotta meglio con "non cominciate neppure a pensare [che il Messia possa abolire la legge]". "Annullare" (katalàsai) il senso di questo termine è "smantellare" o "ridurre in pezzi" (Matteo 24:2; 26:61; 27:40; Marco 13:2; Luca 21:6; Atti 6:14; 2Cor. 5:1; Gal. 2:18), Gesù usa questo termine, metaforicamente molto vivo, per indicare che la propria relazione alla legge non è di invalidazione o abrogazione. "La legge" (tÕn nÒmon) è da intendersi come l'intero contenuto dell'Antico Testamento, niente nel brano indica che Cristo stia pensando solo alla "legge morale". "O i profeti" (À toÝj prof"taj) questo termine indica il contenuto di quei libri diversi dal Pentateuco (Matteo 7:12; 22:40). Nessuna parte dell'AT è abolita dall'opera redentivi del Cristo, inoltre l'enfasi non è posta sulle promesse contenute nei profeti a prescindere dalle richieste divine. A questo punto ci chiediamo quale sia la relazione che il Messia intrattiene con la Legge? Cristo è venuto non ad "abrogare la Legge" come i Farisei tentavano di insinuare, "ma" (¢ll¦) a "compiere" (plhrîsai). Quest'ultimo termine è stato soggetto a varie interpretazioni: portare a conclusione, rimpiazzare, supplementare, obbedire attivamente, rinforzare, confermare e restaurare. Il significato di plhrîsai (compiere) deve essere trovato in relazione a katalàsai (annullare), va anche ricordato che nel brano è in questione la validità oggettiva della legislazione mosaica e non piuttosto, le motivazioni nel praticarla o se Gesù stesse adempiendo o meno quella legislazione o ancora se bisognasse osservarne una parte e non un altra. Qualsiasi senso diamo a "compiere" deve essere intercambiabile con "non annullare". Siccome il senso più appropriato per "annullare" è quello del pronunciamento legale (e non piuttosto della personale attività), la questione alla quale Matteo 5:17 ci indirizza non è "Come praticherai la legge? Ossia con quali motivazioni pratichi la legge?", ma piuttosto "Quale è la tua attitudine nei confronti della legge? Ossia accetti o meno la legge?" o anche "La legge è ancora in vigore dopo la venuta del Messia?". Pertanto plhrîsai andrebbe tradotto più propriamente con "confermare", "stabilire", "ratificare". Tale accezione del termine è ben testimoniata nel NT, ad esempio in Giac. 2:21-23 "Abraamo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere quando offrì suo figlio Isacco sull'altare? 22 Tu vedi che la fede agiva insieme alle sue opere e che per le opere la fede fu resa completa; 23 così fu adempiuta la Scrittura che dice: "Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto come giustizia"; e fu chiamato amico di Dio." La citazione dall'AT alla quale si fa riferimento è quella di Gen. 15:6, dove non si fa riferimento all'offerta di Isacco (Gen. 22). L'attività di Abramo non compie una predizione, infatti in Gen. 15:6 noi troviamo un'affermazione non una promessa. Giacomo sta insegnando che l'obbedienza a Dio da parte di Abramo nel momento in cui offrì Isacco, confermò la giustizia che gli era stata imputata da Dio. In 2Cor. 10:6 Paolo afferma "e siamo pronti a punire ogni disubbidienza, quando la vostra ubbidienza sarà completa.", la punizione non avrà luogo sino a quando l'ubidienza non sarà confermata pienamente. In Apocalisse 3:2 "Sii vigilante e rafforza il resto che sta per morire; poiché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio.", il rimprovero che il Signore rivolge alla chiesa di Sardi è che essi avrebbero dovuto rendere "stabili" le proprie opere. Romani 15 "con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito Santo. Così da Gerusalemme e dintorni fino all'Illiria ho predicato (peplhrwkšnai) dappertutto il vangelo di Cristo,". Paolo ha "raffermato" ossia "resa stabile" la predicazione di Cristo nelle zone della propria azione missionaria. Gesù in Matteo 5:17 ha usato il termine plhrîsai invece del più comune "isthmi poiché sua intenzione non era quella di affermare che da pioniere stava stabilendo una legge, ma che piuttosto ne stava confermando e restaurando il pieno significato. Sulla base di queste considerazioni si può affermare che la legge alla quale il credente è tenuto a sottomettersi sia comprensiva anche delle sanzioni che comminano la pena di morte per vari tipi di reati. Potrebbe sembrare a prima vista inquietante la lista dei reati per i quali, secondo la legge mosaica, andrebbe comminata la pena capitale:


1) magia, evocazione dei defunti, divinazione (Esodo 22:17; Levitico 19:31; 20:6, 27; Deuteronomio 18:10-14)
2) sacrifici (anche umani) agli idoli (Es. 22:20; Lev. 20:2-5; Deut. 13:6-17;; 17:2-7)
3) profanazione del giorno del riposo (Es. 31:14-15; 35:2)
4) bestemmia (Lev. 24:10-16)
5) falsa profezia pronunciata invocando divinità pagane o abusando del nome di Dio (Deut. 13:1-5)
6) adulterio (Lev. 20:10; Deut. 22:12)
7) stupro di una vergine non schiava fidanzata ad un altro uomo (DEut. 22:21-27, sono presentate in questo brano diverse modalità di applicazione della pena)
8) maledire padre e madre (Lev. 20:9; Es. 21:15, 17)
9) relazioni sessuali con la moglie del proprio padre o con la propria sorella (Lev. 20:12)
10) prendere in moglie figlia e madre (Lev.20:14, il brano è ambiguo, non si comprende se la pena capitale fosse inflitta a chi avesse preso in moglie la propria madre o la propria figlia, oppure se fosse proibita la pratica della poligamia quando questa comportava prendere due donne che fossero ta loro madre e figlia)
11) relazioni sessuali con la propria sorellastra (Lev. 20:17)
12) relazioni sessuali con donna durante il periodo mestruale (Lev. 20:18)
13) donna non trovata vergine dal proprio marito (Deut. 22:13-21)
14) figliuola del sacerdote che si prostituisce (Lev. 21:9)
15) relazioni sessuali con bestie (Lev. 20:15-16; Es. 22:19)
16) omossessualità (Lev. 20:13; Deut. 22:5)
17) relazioni sessuali con zia materna o paterna, con zia acquisita o con la moglie del fratello germano (Lev. 20:19-21 sul significato dell'espressione "portare la pena della propria iniquità" vedi punto 30)
18) ribellione nei confronti dei genitori (Deut. 21:18-21, probabilmente questa situazione è la medesima di quella illustrata al punto 8)
19) omicidio doloso (Es. 21:12, 14, dobbiamo considerare omicidio doloso anche: l'aborto, l'eutanasia, il suicidio, l'alcoolismo, il fumo, l'uso e lo spaccio di droghe)
20) rifiuto di sottomettersi al decreto del sacerdote o del giudice (Deut. 17:12)
21) percuotere padre e madre (Es. 21:15, vedere punti 8 e 18)
22) rapimento (Es. 2:16; Deut. 24:7)
23) falsa testimonianza (Es. 21:18-36, era comminata la pena di morte solo nel caso il falso testimone ricercasse la morte dell'accusato)
24) celebrazione impropria della pasqua (Es. 12:15; Num 9:13)
25) mancanza di umiliazione nel giorno dell'espiazione, non digiunando o lavorando (Lev. 23:29)
26) non essere circoncisi, se ebrei (Gen. 17:14)
27) mangiare il sangue (Lev. 17:14)
28) mangiare il grasso dei sacrifici (Lev. 7:25)
29) disprezzare l'ordinanza di presentare i sacrifici al luogo scelto dall'Eterno (Lev. 17:1-9)
30) consumazione fuori dal tempo stabilito, della carne del sacrificio di azioni di grazie (Lev. 7:18; 19:8, notare l'identità tra le espressioni "portare la pena per la propria iniquità" e "essere sterminato di fra il popolo")
31) utilizzo per uso profano dell'olio e del profumo sacri (Es. 30:33, 38)
32) consumazione dei sacrifici da parte di persone in stato di imurità (Num. 19:20; Lev. 7:20)
33) frode nel commercio (Deut. 25:13-16)
34) appropriazione di quanto era stato interdetto (Giosuè 7:19-27)

...la lista potrebbe non essere completa.


(autore: Domenico Iannone)