Agostino e i Pelagiani: la questione del libero arbitrio.

Il presupposto filosofico del pensiero pelagiano.

Uno dei più temibili attacchi all'ortodossia cristiana, partì dall'occidente ad opera di Pelagio.
La dottrina di Pelagio rampollava da una serie di argomentazioni teologiche, che non avevano ancora trovato un'adeguata sistematizzazione dottrinale: la libertà della volontà umana, le conseguenze della caduta di Adamo sui suoi discendenti, il ruolo della grazia divina nell'economia della salvezza, il senso della morte fisica e di quella spirituale nell'esperienza del credente.
L'occidente cristiano tendeva a porre enfasi sulla natura umana corrotta dal peccato, e sull'assoluta necessità della grazia salvifica, al fine di emanciparsi da tale situazione e avere comunione con Dio; l'oriente cristiano era invece maggiormente sensibile alla libertà della volontà dell'uomo.
Ciononostante nè l'oriente, sottovalutava l'influenza determinante della grazia di Dio nell'opera di redenzione, nè l'occidente trascurava la parte giocata dalla volontà umana, nel processo di ravvedimento e di santificazione.
Tale problematico equilibrio, venne esplicitamente messo in questione da un monaco britannico, Pelagio. Questi in un suo trattato dal titolo
"Commentario alle epistole di San Paolo" scritto probabilmente a Roma agli inizi del V° sec., presentava la propria dottrina tesa a negare la necessità della grazia al fine di ottenere salvezza, quasi fosse stata una dottrina legittima, tramandata dalla tradizione della chiesa.
Pelagio più che porre enfasi sul libero arbitrio, negava la corruzione della natura umana e la necessità della grazia.
Era questa una implicita riaffermazione dell'etica filosofica greca, secondo la quale l'esercizio della virtù non è da attribuire all'influenza di qualche Dio, ma frutto esclusivo di peculiari capacità umane.
Dio avrebbe creato l'uomo dotandolo delle capacità di volgersi al proprio Creatore attraverso l'esercizio delle sole capacità naturali, comuni a ciascun uomo.
Probabilmente non è senza significato, il fatto che Pelagio fosse un monaco conducente una vita austera al limite dell'ascetismo. In genere l'asceta ritiene sia possibile avvicinarsi a Dio, tramite l'esercizio di una rigida e costante disciplina di vita. Tale disciplina, è intes a a mortificare il corpo, ricordando alla carne , ricettacolo di immoralità, il primato della volontà.
Pelagio considerava la legge mosaica, la fonte privilegiata per conoscere quanto risulta gradito a Dio.
Egli smarriva in tal modo, il significato di fondo della legislazione mosaica, frantumandola in una serie di precetti particolari.
Era intesa reale, la possibilità di non peccare più, uniformandosi completamente ai dettami della legge divina, raggiungendo in tal modo la
"perfezione morale"; tuttavia tale perfezione era considerata solo come un aggregato di virtù, sganciate dalla possibilità di potere a loro voltà influire sulla sostanziale bontà della natura umana.
Il credente nell'ottica pelagiana, tramite l'esercizio di una vita virtuosa, era chiamato a produrre buone opere; queste diventavano il modo per guadagnare meriti al cospetto di Dio.
Ne conseguiva che come per il presente, anche in passato erano esistiti uomini che non solo avevano osservato integralmente la legge divina, ma avevano anche raggiunto uno stato di totale assenza di peccato. Ciò implicava che ogni uomo venisse al mondo con una capacità integra di potere osservare i comandamenti di Dio e dunque evitare il peccato.
Non poteva esservi spazio per alcuna trasmissione di peccato dai genitori ai figli.
Pelagio negava la solidarietà della razza mana nel peccato, in quanto gli appariva inconcepibile che un uomo come Adamo avesse potuto
"trasmettere" un elemento spirituale come la propria corruzione e ribellione a Dio.
La razza umana non poteva essere considerata una "unità", ma veniva frammentata allo stesso titolo della persona umana.
L'uomo poteva in tal modo giungere alla salvezza senza interferenza da parte di Dio. A Dio non veniva chiesto di forzare la volontà della sua creatura per invogliarla a salvezza, nè tantomeno cambiare la di lei natura, da malvagia e ribelle a Dio, in buona e ubbidiente.
L'uomo in breve,era considerato perfettamente attrezzato per acquistare salvezza e perfezione.
Pelagio si indignava quando certuni scusavano il proprio peccato, accusando la propria natura malvagie e corrotta: i comandamenti erano stati dati da Dio per essere rispettati, per tale motivo potevano essere senz'altro praticati dall'uomo; nessuna scusante per quanti non li ottemperano.
Molte sono le testimonianze su come Pelagio esortasse alla santità di vita, decantando le doti della natura umana.
Tale doti erano da considerarsi un dono di Dio; addebitare alla natura dell'uomo, corruzione o malvagità, significava questionare tale dono.
Ciononostante, i pelagiani parlavano spesso di "grazia", ma con questo termine intendevano il fatto che Dio avesse dotato l'uomo del libero arbitrio. Con il termine "grazia" intendevano anche la rivelazione dei precetti della Legge mosaica, dei precetti del vangelo, il perdono dei peccati "passati", e l'esempio della vita di Cristo.
Oltre a questi precetti e leggi "esterni", nulla era assolutamente necessario all'uomo.
L'universalità dell'inclinazione al peccato, veniva spiegata tramite il cattivo esempio trasmesso da Adamo alla sua posterità, e il ricorso al potere dell'abitudine. La storia dell'umanità sarebbe stata caratterizzata da una crescente facilità nell'imitazione del vizio; la venuta di Gesù Cristo era spiegata con la necessità che un uomo: 1) desse una nuova spiegazione di ciò che era giusto (la legge), 2) impartisse nuovo impulso ad una vita santa, perdonando tutti i peccati compiuti prima che l'uomo conosca la legge divina, 3) donasse un santo esempio da imitare.
Abbiamo detto che Pelagio concepiva la santità solo come un insieme di atti virtuosi, allo stesso modo concepiva il peccato solo come una serie di azioni peccaminose. Tale modo essenzialmente pagano di concepire la moralità, isolava la volontà dalle sue azioni e le azioni le une dalle altre. Si perdeva in tal modo l'unità della persona soggetto della morale. Nessuna azione, malvagia o buona che fosse, possedeva il potere di variare la natura essenziale dell'uomo, oltre alla libertà del volere non vi era spazio per nulla, neppure per il carattere.
L'uomo rimaneva sempre in bilico tra bene e male, senza che la sua natura venisse minimamente intaccata dal bene o dal male.
Riassumendo, Pelagio riteneva che: 1) bisognasse lodare l'uomo creato da Dio, e il suo libero arbitrio; 2) si dovesse dare massimo conto del matrimonio istituito da Dio, e degli appettiti sessuali espressi in esso, in quanto questi ultimi non mettevano capo alla procreazioni di esseri contaminati dal peccato; 3) i genitori non trasmettevano ai figli alcun tipo di peccato originale; 4) andassero onorati la legge mosaica e gli insegnamenti del vangelo.
Tra le conseguenze della dottrina di Pelagio, vi era anche quella di ritenere che Adamo e la sua progenie morissero fisicamente perchè creati originariamente in tal senso.
Adamo e i suoi discendenti sarebbero morti anche se Adamo non avesse peccato.
Pelagio rifiutava di credere che il battesimo degli infanti, praticato largamente già da qualche secolo nella chiesa cristiana, potesse arrecasse salvezza in caso di morte prima del raggiungimento dell'età della ragione.
Per non esporsi troppo, rigettando una prassi che era ritenuta erroneamente biblica, Pelagio affermava che il battesimo degli infanti non toglieva il peccato originario (che a suo parere, nessun essere umano possedeva), ma conferiva solo una sorta di iniziazione ad uno stato di maggiore salvezza.
La convinzione di Pelagio era che le anime, venivano generate direttamente da Dio esenti da peccato e infuse alla nascita, nei corpi.

Prime reazioni al Pelagianesimo.

Pelagio conquistò alle sue idee un avvocato, Celeste, e insieme a costui si trasferì in Palestina.
Un paio di frammenti degli atti di un sinodo tenutosi a Cartagine nel 412 d.C., per arginare il dilagare delle dottrine pelagiane ci informano delle accuse mosse dal diacono milanese Paolino al pelagiano Celeste.
Celeste, avrebbe affermato: 1) il peccato di Adamo riguardava solo colui che lo aveva commesso, e non aveva avuto alcuna conseguenza per la sua discendenza, 2) i neonati venivano al mondo nel medesimo stato posseduto da Adamo prima del peccato, 3) la morte fisica non ha a che fare con il peccato e la morte spirituale di Adamo, 4) la legge conduce al regno dei cieli allo stesso modo del vangelo, 5) i neonati anche se non battezzati, in caso di morte hanno la vita eterna, 6) anche prima della venuta di Cristo ci sarebbero stati uomini in stato di assenza attuale di peccato.
Celeste rifiutò tale presentazione delle proprie convinzioni, tranne l'affermazione concernente la salvezza dei neonati morti senza battesimo. Invece a proposito della trasmissione del peccato, Celeste affermò che nella Chiesa essa era ancora una questione aperta.
Celeste fu comunque scomunicato.
Anche Pelagio nell'estate del 415, nel corso di un sinodo tenuto a Diospoli in Palestina, fu invitato a dar conto della propria posizione dottrinale. Purtroppo la buona condotta di Pelagio, le intemperanze dell'accusatore Orioso, e le differenze di lingua, resero l'indagine impossibile.
Neppure un secondo sinodo convocato a Lydda sempre nel 415 d.C., riuscì a fare il punto della situazione, Pelagio non riuscì a trovare neppure un accusatore (dovette confrontarsi con un'accusa scritta, poco chiara e per giunta scritta in latino, lingua che non era compresa tra i convocati, che invece parlavano greco).
Inoltre Pelagio, versato tanto in latino quanto in greco, fu capace di destreggiarsi al punto da dribblare, non proprio onestamente, le accuse mosse al suo discepolo Celeste e imputate di conseguenza anche a lui .
Pelagio soddisfatto della vittoria ottenuta scrisse un trattato
"In difesa del Libero Arbitrio".

Il contributo di Agostino.

Ad Agostino parve di rilevante importanza prendere posizione nei confronti della posizione pelagiana, pur stimando inizialmente l'uomo Pelagio, per la sua santità di vita e la condotta esteriore irreprensibile.
Per Agostino la grazia, in quanto espressione dell'assoluta dipendenza dell'uomo da Dio, rimane lo strumento essenziale, attraverso il quale l'uomo acquista la possibilità di avere comunione con Dio.
Il presupposto agostiniano è che Dio cerca l'uomo e non viceversa e che la legge mosaica non ha di per sè alcun potere di renderci accettevoli a Dio.
Nel sermone 170, su Filippesi 3:6-16, Agostino si chiede che stima fare della Legge, se Paolo l'apostolo, considerava la giustizia derivante dalla legge una vergogna a fronte della giustizia derivante dall'accettazione della grazia in Cristo.
Agostino affronta anche l'argomento "perfezione", affermando che la giustizia perfetta ci sarà donata solo in cielo.
E' sempre vigorosamente affermata l'universalità del peccato dell'umanità, la necessita dell'incarnazione per l'espiazione di tale peccato; la necessità della grazia in Cristo, che sola rende possibile la salvezza tanto per gli adulti quanto per i neonati (vedi Sermoni 174, 175, 176), .
"Noi dobbiamo dunque a Lui quello che siamo, che siamo vivi, che comprendiamo, che noi siamo uomini, che viviamo bene, che comprendiamo rettamente, tutto questo lo dobbiamo a Lui. Niente è nostro eccetto il peccato che abbiamo. Perchè che abbiamo che non abbiamo ricevuto" (Sermone 176,6).
Nessun uomo che proviene da Adamo è esente da peccato, e nessun uomo può essere sanato, senza la grazia di Cristo. Anche i neonati sono infettati dal peccato e possono essere liberati dal battesimo. Agostino stranamente, argomenta che i neonati possono essere battezzati e dunque liberati dal peccato adamitico, sulla base del presupposto che la chiesa ha sempre avuto questa usanza. Và riconosciuto che le argomentazioni agostiniane a supporto del battesimo degli infanti sono in generale piuttosto deboli.
Agostino è figlio del suo tempo, e a proposito di questo argomento non ha saputo essere critico al punto da discostarsi dalla tradizione della chiesa e seguire esclusivamente la Parola di Dio.
Nel trattato in due libri del 412 d.C., "Sui Meriti e la Remissione dei Peccati e Sul Battesimo degli Infanti", occasionato da alcuni quesiti postigli dal legato imperiale Marcellino, inviato qualche tempo prima dall'imperatore a Cartagine per presiedere il concilio contro i donatisti, Agostino si riconfronta con le dottrine pelagiane.
Agostino inizia la sua trattazione prendendo in esame la dottrina pelagiana secondo la quale la morte sarebbe "creazionale" e dunque "naturale".
L'affermazione "Adamo sarebbe morto anche se non avesse peccato" è confutata sulla base di Genesi 3:19, nel quale la pena minacciata da Dio per la trasgressione implica la morte fisica. E' a causa del peccato di Adamo se tutti noi moriamo (Romani 8:10-11; 1Corinzi 15:21).
A proposito della convinzione di Pelagio che il peccato si propaghi alla razza, soltanto per imitazione, è proposto un commento a Romani 5:12.
Quanto poi al battesimo degli infanti, i pelagiani per non porsi fuori dalla tradizione della chiesa, che aveva sempre avuto tale uso, affermavano che esso doveva essere inteso o come una remissione dei peccati commessi dalla nascita (?), o un modo per ottenere uno stato superiore di salvezza, definito "Regno di Dio", o un modo per ottenere remissione dai peccati contratti in precedenti stati di esistenza.
Ma il brano di Giovanni 2:7-8, utilizzato dai pelagiani per argomentare uno stato superiore di salvezza conferito agli infanti dal battesimo, è confutato da Agostino come significante tutt'altro.
Nel secondo libro del trattato, Agostino si confronta con la convinzione pelagiana della possibilità di uno stato di totale assenza di peccato da parte dei credenti, già in questa vita.
Agostino afferma che Dio nella sua onnipotenza, potrebbe donare la perfezione morale ai credenti già in questa vita, ma le Scritture attestano che Egli non ha mai fatto questo, nè sembra che sia mai esistito qualche uomo esente da peccato.
Dopo aver completato il trattato, Agostino viene in possesso del "Commentario alle Epistole di Paolo" di Pelagio. Decide pertanto di scrivere una confutazione nominando esplicitamente Pelagio. Costui d'altronde portava nuovi argomenti a suffraggio delle sue dottrine, egli ora affermava: "Se il peccato di Adamo contaminò anche quelli che non avevano peccato, la giustizia di Cristo deve allo stesso modo, essere profittevole anche per coloro che non credono"; "Nessun uomo può trasmettere ciò che non ha, così se il battesimo purifica dal peccato, i figli di genitori battezzati dovrebbero essere considerati liberi dal peccato"; "Compito di Dio è rimette i peccati, egli difficilmente dunque, imputa quelli di un altro a noi; se l'anima è creata, sarebbe ingiusto imputare i peccati di Adamo a essa".
Agostino indirizza la replica, sotto forma di lettera, a Marcellino, insistendo che: morte e peccato sono trasmessi da Adamo a tutta la sua discendenza; nessun uomo può in questa vita ottenere santità con le sue sole forze; gli infanti necessitano di salvezza e dunque del battesimo.
Agostino introduce altresì una interessante differenza tra facoltà del libero arbitrio e suo utilizzo. Infatti una cosa è possedere la possibilità di scegliere tra bene e male, altra cosa e scegliere liberamente il male (senza alcuna costrizione esterna).
Nel 412 d.C. Agostino indirizza a Marcellino, un ulteriore trattato dal titolo "Sullo Spirito e la Lettera". In esso è affrontato il tema della necessità della grazia di Dio per vivere da credenti.
Nessun uomo vive senza peccato, tuttavia non è ancora eresia affermare che l'uomo possa vivere senza peccare; ciò che risulta insostenibile è l'affermazione che l'uomo possa raggiungere tale condizione senza l'aiuto di Dio.
I pelagiani intendono la grazia di Dio solo come dono del libero arbitrio; tale facoltà è perfettamente autonoma rispetto all'azione di Dio, essendo soltanto bisognosa di conoscere in modo persuasivo, ciò che è buono (la legge) per potercisi adeguare.
Agostino sulla scorta di 2Corinzi 3:6 afferma che i solo insegnamenti, siano essi esposizioni della legge o prediche di Gesù, sono lettera morta. L'uomo ha bisogno di conoscere qualcosa in più della sola "lettera" della Parola di Dio, egli ha bisogno dello Spirito di Dio. La legge pur essendo santa e giusta, non toglie il peccato ma lo rende ancora più manifesto e virulento; se Dio avesse donato all'uomo il libero arbitrio per poi abbandonarlo alla legge, avrebbe condannato alla perdizione, l'intera razza umana.
Antico e Nuovo Testamento per Agostino si distinguono, in quanto il primo dona una conoscenza "esteriore" della volontà di Dio, mentre il secondo è impresso da Dio, nel cuore stesso del credente, insegnandogli "interiormente" quale sia la volontà di Dio. Tale "interiorizzazione" è opera dello Spirito di Dio. Il nostro libero arbitrio è portato a credere in Dio, solo quando è mosso dalla grazia.
Anche nella "Lettera ad Anastasio" che è del 415 d.C. , Agostino argomenta che senza grazia la legge non può essere praticata. La legge è solo un pedagogo a cui è deputato il ruolo di portarci al Signore per essere liberati dal peccato ed ottenere lo Spirito di Dio.
Lo Spirito donandoci amore ci permetterà in seguito di adempiere i precetti della legge.
E' presunzione ritenere che essendo stata data la legge, la volontà possegga la forza sufficiente a compierla, prescindendo dall'assistenza dello Spirito Santo. La riprova è che nessun pelagiano avrebbe potuto in coscienza affermare "Non indurci in tentazione, ma liberaci dal male".
Nel 414 d.C. Agostino risponde tramite lettera ad una richiesta di chiarimento, da parte di Paolino vescovo di Nola. Paolino era stato intimo di Pelagio e a Nola c'era chi già seguiva gli insegnamenti pelagiani.
Agostino approfitta dell'occasione per presentare la propria elaborazione della dottrina della predestinazione, con la quale è stabilito definitivamente la presenza della grazia in ogni fase della salvezza dell'uomo.
Vanno annoverati tra gli scritti in cui Agostino si confronta con il pelagianesimo, anche due sermoni cartaginesi, tenuti nell'estate del 413 d.C.
In uno è affermato che Cristo non si è incarnato, per i buoni e i virtuosi, ma per i peccatori e i malvagi. Non sono i nostri meriti che ci rendono virtuosi, quanto piuttosto i meriti di Cristo.
Agostino approfitta dell'occasione per argomentare ancora a proposito della necessità del battesimo degli infanti. Anche gli infanti necessitano di un Salvatore, che purtroppo non possono reclamare, a questa impossibilità sopperisce la chiesa.
Nel secondo sermone, l'attacco ai pelagiani è ancora occasionato dal loro rifiuto del battesimo degli infanti, come mezzo per liberarli dal peccato di Adamo. Solo il battesimo, impartito agli infanti sulla base della confessioni di fede pronunciata da altri in loro vece, consente agli infanti di entrare nel Regno di Dio, se morti prima dell'età della ragione.
La conseguenza è che gli infanti non battezzati sono condannati alle pene eterne. Agostino sottolinea che queste tesi sono da sempre tramandate nella chiesa e per tale motivo da considerare con rispetto (come autorità è citato Cipriano, secondo il quale gli infanti vanno battezzati prima possibile).
In una lettera datata al 414 d.C. Agostino denuncia la tecnica utilizzata dai pelagiani per diffondere le proprie dottrine. Essi non si sbilanciavano in pubblico, ma preferivano esporre apertamente le proprie dottrine in privato. Agostino ribadisce il proprio desiderio di non considerare costoro degli eretici, sperando in un loro imminente ravvedimento.

Espansione dell'eresia pelagiana.

Nonostante i propositi ottimistici di Agostino, sembra che comunque l'eresia si stesse diffondendo. Girolamo afferma che pelagiani erano particolarmente attivi a Rodi e in Sicilia.
Proprio dalla Sicilia un certo Ilario invoca l'aiuto di Agostino affermando che dalle sue parti, certuni insegnavano che vi sono uomini senza peccato, che i comandamenti di Dio possono essere praticati agevolmente, che i neonati anche se morti senza battesimo, non sono destinati alle pene infernali, poichè essi nascono senza peccato. Inoltre che i ricchi non potevano salvarsi, a meno di liberarsi delle loro ricchezze, che non si poteva in alcun caso giurare, e che i credenti dovevano vivere in questo mondo senza macchia o peccato.
Agostino sospettando in Celeste, l'autore di tali dottrine mandò a Ilario, gli atti del Sinodo contro Celeste tenutosi a Cartagine nel 412 d.C., a cui unì una lettera nella quale riprendeva il contenuto del trattato "Sui Meriti e il Perdono dei Peccati".
Ciò che ad Agostino sembrava insostenibile era l'opinione che lo stato di assenza di peccato, se possibile, potesse essere raggiunto senza l'aiuto di Dio. Ciò che Dio comanda con la legge, solo tramite lo Spirito è dato adempierlo.
La sorte degli infanti non battezzati è affrontato sulla scorta del brano di Romani 5:12-19; per i pelagiani gli infanti morti prima del battesimo non erano dannati, ma salvi perchè nati senza peccato. Secondo Agostino senza battesimo, gli infanti che muoiono sono destinati all'eterna dannazione.
In merito alle tesi ascetiche poste da Ilario: necessità di liberarsi dei propri beni e divieto del giuramento, tesi che potrebbero essere anche non specificamente pelagiane, Agostino rimarca l'ordine del Signore di fare un giusto uso delle ricchezze e non di liberarsene. L'evidenza scritturale mostra poi che giuramenti erano fatti tanto dal Signore quanto dagli apostoli.
Poco dopo Agostino ricevette un trattato di Pelagio, da parte di due giovani, Timasio e Giacomo, che diventati pelagiani, si erano poi ricreduti leggendo gli scritti di Agostino.
Agostino scrisse nel 415 a. C. in replica a tale trattato, "Sulla Natura e sulla Grazia".
Pelagio è convinto che nessun peccato sia una "sostanza", cioè alcunchè di concreto, capace di cambiare la natura umana che invece è una sostanza. Tale affermazione annulla l'opera di redenzione del Cristo, che è intesa anche come un riscatto da una situazione di corruzione, cioè di alterazione, della "sostanza" della natura umana.
Agostino porta l'esempio di colui che compie l'azione di astenersi dal cibo, tale atto pur nella sua immaterialità porta alla morte del corpo (che è una sostanza).
Le azioni umane alterano la sostanza della natura umana. Tramite un'azione (immateriale) realizzata per libero arbitrio (la ribellione di Adamo), l'uomo ha alterato la propria natura. Ora l'uomo non ha più la facoltà di ritornare a Dio e di restaurare autonomamente la propria natura. L'uomo corrotto e lontano da Dio, necessita di qualcosa di diverso dal libero arbitrio per tornare in uno stato di integrità, egli necessita di un Vivificatore.
A proposito del fatto che secondo Pelagio molti santi abbiano vissuto senza peccato, mentre Agostino dribbla la discussione a proposito della situazione di Maria madre di Gesù, invita a riflettere sul senso del brano di 1Giovanni 1:8.
Tanto i credenti dell'Antico Testamento, quanto quelli del Nuovo Testamento sono salvati sulla base della fede e del sacrificio di Cristo. Se anche all'uomo fosse concesso di non peccare più, ciò avverrebbe solo per il tramite della grazia di Dio, espressa nel sacrificio di Cristo sulla croce.
Agostino afferma che non è in nostro potere la capacità di non peccare e cita a sostegno Romani 7:15. Inoltre tramite un'ampia citazione di nomi di padri della chiesa, è sottolineato che l'universale corruzione della razza umana è una dottrina da sempre confessata nella chiesa.
Pelagio è convinto che l'uomo con il libero arbitrio, possegga la capacità di potersi dirigere a piacimento verso il bene o il male.
Più in generale egli è convinto, che l'uomo possa fare qualsiasi uso delle sue facoltà naturali. Adamo con la propria ribellione, ha inquinato le sue sole facoltà spirituali e non quelle dei suoi discendenti.
Agostino terminato il trattato, si confrontò con la questione postagli da un credente spagnolo Paolo Orosio, il quale si interrogava sulla questione pelagiana se Dio potesse essere considerato giusto quando creava delle anime e poi le rendeva colpevoli dello stesso peccato di Adamo.
Tale questione implicava una certa conoscenza del modo utilizzato da Dio per immettere le anime nei corpi. Agostino chiese pertanto lumi a Girolamo, affermando la sua convinzione che le anime cadessero nel peccato per libera scelta, ma la questione era decidere quando questa scelta avesse luogo dato che credenza comune era che Dio creasse le anime al momento della nascita. Girolamo dichiarò di non avere risposta.
Nel frattempo in Sicilia cominciava a circolare uno scritto di Celeste dal titolo "Definizioni ascritte a Celeste".
Esso consisteva di una serie di affermazioni a proposito della possibilità per il credente di vivere senza peccato su questa terra.
Agostino replica con il trattato "Sulla Perfezione e la Giustizia dell'Uomo".
In esso dimostra che sebbene Dio rivolge nella Scrittura dei comandi all'uomo, Egli non intende che essi siano compiuti senza il proprio aiuto.
La Scrittura afferma che i comandamenti non sono "gravosi", ma tale affermazione non ha il senso di proclamarli passibili di adempimento con le sole forze umane, quanto piuttosto di puntualizzare che solo con l'esercizio dell'amore di Dio ne è resa possibile l'attuazione.
In questo periodo l'eresia pelagiana cominciò a divenire più virulenta facendosi avvertire anche nelle contrade orientali.
Agostino scrive e manda lettere a quanti sembrano ignorare la pericolosità delle dottrine pelagiane (Ilario di Norbonne), e anche a quanti hanno già una posizione di rifiuto del pelagianesimo (Giovanni di Gerusalemme che era stato il primo a condurre in Palestina la prima inchiesta sulle dottrine di Pelagio).
Agostino mette particolarmente in guardia contro l'uso arbitrario dei termini biblici usati da pelagiani.
In una lettera indirizzata a Giuliana, una donna che si era votata alla vita monastica ed era caduta sotto l'influenza di Pelagio, Agostino esorta a guardarsi dalle ambiguità del linguaggio biblico utilizzato dall'eretico.
Per Pelagio, grazia non significa "aiuto esterno da parte di Dio", ma "libero arbitrio e conoscenza del perdono dei peccati passati".
Poco dopo (417 d.C.) Agostino pubblica un "Resoconto degli Atti del Sinodo di Diospoli", il sinodo palestinese dove Pelagio e le sue tesi erano stati condannati.
Agostino scrisse anche un secondo resoconto storico del movimento pelagiano indirizzandolo in forma di lettera a Paolino da Nola.
Venuto a morire Innocenzo vescovo di Roma nel 417 d.C., che in una lettera inviata ai vescovi africani, aveva condannato Pelagio, il suo successore Zosimo tentò di riabilitare Pelagio e il suo braccio destro Celeste.
Zosimo scrisse una lettera ai vescovi africani nella quale intercedeva per Pelagio, Agostino agli inizi del 418 d.C. replicò che la sentenza sul movimento ereticale era già stata pronunciata e nulla vi era da aggiungere.
E infatti il potere imperiale intervenne per punire Pelagio e accoliti, con grande scorno di Zosimo, il quale tentava di rimediare alla situazione con una lettera "Tractoria" con la quale invitava tutti i vescovi a fare atto di sottomissione uniformandosi a quanto deciso dai vescovi africani.
Anche un altro presbitero romano Sisto, che divenne più tardi vescovo di Roma con il nome di Sisto III, aveva espresso simpatia per Pelagio. Anche lui ritrattò indirizzando nel 418 d.C. una breve lettera ad Aurelio di Cartagine, ed una più lunga ad Agostino ed Alipio. Agostino rispose con due lettere, nelle quali metteva in guardia dal linguaggio ambiguo dei pelagiani e dalla loro interpretazione della possibilità a salvarsi con le sole forze umane.
Agostino scrisse ancora due trattati "Sulla Grazia di Cristo" e "Sul Peccato Originale". Il primo era stato occasionato da una lettera inviatagli una coppia credente datasi in palestina alla vita ascetica. Costoro affermavano di frequentare Pelagio e dichiaravano: "lui anatemizza l'uomo che o pensa o dice che la grazia di Dio dopo che Cristo è venuto nel mondo a salvare i peccatori è non necessaria, non solo per ogni ora o momento, ma anche per ogni atto della vita". Tale affermazioni in favore della grazia, sembravano a questa coppia di credenti un chiaro segno di ravvedimento.
Agostino spiega (nel libro "Sulla Grazia di Cristo") che le affermazioni di Pelagio possono ingannare quanti non ne conoscono a fondo le dottrine e l'uso molto personale dei termini biblici.
Pelagio intende per "grazia" il perdono dei peccati passati, l'esempio di Cristo, la legge, il dono del libero arbitrio. Inoltre avendo distinto tra "possibilitas", "voluntas" e "actio", Pelagio dichiara che mentre la facoltà del libero arbitrio è creata in noi da Dio (la possibilitas), le altre due sono completamente in nostro potere.
Per Pelagio noi amiamo Dio per primi, mentre la Scrittura afferma il contrario (1Giovanni 4:10); a suo avviso, l'esempio di Cristo, il suo perdono dei passati peccati, rendono l'esercizio del libero arbitrio più facile, di conseguenza la stessa preghiera per ottenere aiuto, è solo relativamente necessaria.
Nel secondo trattato dal titolo "Sul peccato Originale", Agostino si confronta ancora con il battesimo degli infanti, sviluppando la confutazione della dottrina pelagiana che afferma che nasciamo nè buoni nè cattivi, ma con una capacità per entrambi.
Agostino confuta anche l'affermazione che per gli anti-pelagiani il matrimonio, poichè porta alla generazione di esseri peccatori, deve essere inteso come un'istituzione malvagia. Secondo Agostino il matrimonio è un dono di Dio, anche se ad opera di Adamo tale dono risulta contaminato dal peccato.
Nel 418 d.C. in una serie di Sermoni (151, 152, 155, 156, 26), Agostino ritorna sulle dottrine pelagiane. Sulla base di Romani 7:15-25 dimostra come i credenti, anche i più spirituali, sono sempre coinvolti con il peccato; con Romani 8:1-4, dimostra come lo Spirito ci offre tutto l'aiuto necessario per combattere il peccato. Con 1Corinzi 3:6-7, dimostra come Paolo distingua tra opere dell'uomo e opera di Dio.
Ancora sulla scorta di Romani 7:1-11, è chiarita la differenza tra la legge del peccato e di Mosè, da una parte e la legge della grazia dall'altra.
In breve la conclusione di Agostino è che senza l'assistenza della grazia, al credente non è concesso fare alcunchè.
Nel 418 d.C., Agostino scrisse una lettera al vescovo Ottato, a proposito dell'origine dell'anima.
Ottato era convinto allo stesso modo di Girolamo, che Dio creasse le anime prima di immetterle nei corpi. Agostino ne approfitta per presentare un sommario della fede cristiana in opposizione alla negazione pelagiana del peccato originale e della grazia.
Tutti nasciamo contagiati dalla morte e dalla colpa, per tale motivo necessitiamo di un liberatore: Gesù Cristo. Anche prima della sua venuta terrena si era liberati sulla base della fede nella sua incarnazione. La legge mosaica non era pertanto intesa a salvare, ma ricordava oggi come allora, lo stato di perdizione e aumentava il desiderio della liberazione.
La grazia è sovrana, ed è sotto il completo controllo di Dio. Tutti nasciamo destinati alla perdizione, ma vi sono certuni che sono predestinati a salvezza.
Coloro che sono abbandonati a perdizione sono detti "vasi d'ira", per significare che la grazia non si posa su essi. Dio pone anche il male sotto il proprio controllo affinchè gli uomini possano condurre un'esistenza accettabile su questa terra.
A proposito dell'opinione di Ottato sulla creazione dell'anima, Agostino si dichiara d'accordo fatta salva la riserva di considerare il peccato originale come creato insieme ad essa. Il traducianesimo riteneva invece che le anime fossero "trasmesse" dai genitori, si credeva che in tal modo risultasse spiegato più coerentemente la trasmissione dello stesso peccato originale.
Agostino cerca di bilanciare le due teorie, ammettendo la difficoltà di pronunciarsi in merito ad una materia non troppo definita a livello scritturale.
Nel 429 d.C. Agostino scrisse una lettera a Mercatore, un africano incaricato di dar conto all'imperatore Teodosio, della natura e della storia del pelagianesimo.
Mercatore aveva chiesto conto ad Agostino spiegazioni sul battesimo degli infanti.
Agostino sostanzialmente afferma che gli infanti sono battezzati e salvati sulla base della confessione di fede dei loro padrini.
Agostino replica anche alla questione se l'universalità della morte proverebbe, l'universalità del peccato; i pelagiani affermavano che credenti come Enoch, Elia non erano morti, pertanto anche la natura peccaminosa non doveva essere considerata universalmente presente.
Agostino aggiunge alla lista anche coloro che saranno trovati viventi al secondo avvento di Cristo. Non c'è altra morte nel mondo se non quella provocata dal peccato, anche se Dio nella propria onnipotenza può sottrarre chiunque alla morte fisica.
Alla fine del 418 d.C. Agostino scrive ad Asellico il primate della provincia Bizacena. La legge mosaica è dichiarata incapace di giustificare l'uomo; la legge incrementa la virulenza del peccato, piuttosto che eliminarlo. Coloro che ritengono di potere essere salvati "adempiendo" la legge, stabiliscono solo una propria giustizia a detrimento di quella di Dio, essi "giudaizzano".
Nel trattato del 419 d.C., "Sul Matrimonio e la Concupiscenza", Agostino si confronta con un'obiezione pelagiana a proposito del matrimonio: se il peccato originale si trasmette tramite le relazioni sessuali, l'istituzione del matrimonio deve essere considerata malvagia.
Il trattato venne inviato a Valerio un ufficiale dell'imperatore Onorio con una lettera di accompagnamento.
Il matrimonio è buono e Dio è l'autore dei figli che nascono da esso, sebbene a causa della trasgressione di Adamo, non è possibile che i figli nascono senza peccato.
Il matrimonio ha tra i suoi scopi quello di contenere la concupiscenza. Tuttavia ai santi dell'Antico Testamento era concesso di avere più mogli, non perchè fossero particolarmente concupiscenti, ma perchè essi ricercavano la discendenza promessa da Dio. Secondo Agostino un buon matrimonio può esistere senza progenie e anche senza coabitazione (Agostino pensa a quelle coppie che decidevano di votarsi alla vita monastica).
E' poi affermato che il peccato nei figli è trasmesso a causa della concupiscenza dei genitori. Se non vi fosse concupiscenza nell'atto generativo, i figli nascerebbero senza la contaminazione del peccato adamitico.
In Italia un tal Giuliano di Eclano aveva rifiutato di sottostare a quanto deciso con l'epistola "Tractoria" di Zosimo.

Il pelagianesimo nella concezione dell'eretico Giuliano.

A Giuliano passò il testimone per quanto concerneva la difesa della causa pelagiana.
Desiderando perorare la causa dei pelagiani italiani, anche in Africa, prese posizione nei confronti della dottrina agostiniana della grazia. Giuliano, aveva diffuso un trattato che prendeva di mira lo scritto agostiniano "Sul Matrimonio e la Concupiscenza".
Agostino replicò nel periodo 420-1 d.C. con due trattati, uno divenne la seconda parte di "Sul Matrimonio e la Concupiscenza" (Valerio tramite Alipio riuscì a far pervenire ad Agostino solo degli estratti alquanto imprecisi, del lavoro di Giuliano). Il secondo trattato prese il nome di "Contro due Lettere dei Pelagiani"; le due lettere in questione erano state inviate ad Agostino, tramite Alipio, dal vescovo di Roma, Bonifacio. Esse erano state originariamente inviate da Giuliano, una a Rufo vescovo di Tessalonica e rappresentante della chiesa romana in oriente, l'altra alla chiesa di Roma, forse per ottenere protezione contro possibili persecuzioni.
Agostino nella seconda parte del trattato "Sul Matrimonio e la Concupiscenza" rifiuta le accuse, di portare in ambito cristiano tesi di tipo manicheo. Il male inquina la creazione di Dio, ma esso non ha la stessa dignità del bene, anzi è sotto il controllo del bene. I Manichei al contrario, pongono bene e male su un piano di parità
Giuliano si scagliava in primo luogo contro "coloro che condannano il matrimonio, e ascrivono i suoi frutti al diavolo", intendendo questa come la posizione di Agostino.
Secondo Agostino, le Sacre Scritture presentano il matrimonio come un'istituzione "buona", che include la fecondità. Inoltre la dottrina del peccato originale, non implica che l'uomo fosse originariamente creato malvagio. Di conseguenza il matrimonio non è la causa del peccato, ma solo il mezzo attraverso il quale esso è trasmesso.
Nel trattato "Contro due Lettere dei Pelagiani" Agostino si confronta con le accuse di Giuliano, secondo il quale gli antipelagiani negavano la bontà della natura umana creata da Dio, del matrimonio, della legge mosaica, del libero arbitrio impiantato nell'uomo, della possibilità di raggiungere la perfezione.
Giuliano anche se confessava di tenere in onore il battesimo degli infanti, affermava che questo non poteva togliere il peccato, se gli infanti nascevano peccatori.
Secondo Agostino, Giuliano chiama fato, la dottrina secondo la quale la grazia non è data sulla base dei meriti dell'uomo, mentre invece Dio dona a tutti gli uomini, quanto meritano per la propria ribellione, mentre non è ingiusto quando nella propria misericordia decide di salvarne alcuni; domandarsi perchè Dio fa così sarebbe follia (Romani 9).
Dio comanda il bene e dona il desiderio e il potere di adempierlo.
Avendo ricevuto il trattato completo di Giuliano contro il primo libro di "Sul Matrimonio e la Concupiscenza", Agostino pose mano al ponderoso trattato "Contro Giuliano", nel quale confluiscono tutte le tesi anti-pelagiane proposte nei precedenti trattati.
Agostino pose mano alla compilazione di un manuale delle verità cristiane dal titolo "Enchiridion", nel quale venivano riaffrontati anche i temi della grazia già esposti nelle circostanze della polemica anti-pelagiana.
Qualche anno dopo (426 d.C.), un monaco del monastero di Adrumeto, Floro in viaggio verso la nativa Uzali, venne in possesso della lettera di Agostino a Sisto, nella quale si argomentava a proposito della grazia di Dio. Essendone edificato ne mandò una copia al suo monastero.
Questo scritto creò scandalo tra i teologicamente impreparati monaci, ai quali lo scritto venne letto.
Ad essi infatti sembrò che Agostino distruggesse il libero arbitrio dell'uomo.
Dopo vari tentativi di spiegazioni da parte di autorevoli interpreti del pensiero di Agostino, due monaci vennero inviati ad Ippona per approfondire l'argomento.
Agostino li ricevette con grande cordialità e provvedette ad istruirli. Al momento di congedarli ricevettero una lettera per il loro abate, Valentino, nella quale venivano data spiegazioni in merito alle circostanze che avevano occasionato la lettera a Sisto. Agostino difendeva tanto il libero arbitrio, quanto la grazia di Dio: la grazia non è donata sulla base dei meriti, e nel giudizio finale, gli uomini saranno giudicati secondo le proprie opere.
Agostino mandò ai monaci di Adrumeto anche una serie di scritti pelagiani.
In seguito Agostino compose un trattato per rispondere più approfonditamente ai monaci, "Sulla Grazia e il Libero Arbitrio".
Tutti gli uomini posseggono il libero arbitrio, e le opere buone sono il frutto della presenza della grazia.
Agostino sotttolinea che contrariamente alle affermazioni di Pelagio, l'uomo non possiede la capacità di volgersi a Dio. La grazia non può essere confusa con la legge, poichè quest'ultima dona solo conoscenza del peccato. La grazia non è neppure un'aspetto o una virtù della natura umana, altrimenti il sacrificio di Cristo non sarebbe stato necessario.
La grazia non è solo perdono dei peccati, come si deduce leggendo la celebre preghiera di Gesù (Padre Nostro).
Dio è colui che muove la nostra volontà conducendoci ad accettare quanto in Cristo ci è offerto. Dio ci ha amati per primo; Dio non è solo "conoscenza" come i pelagiani affermavano, ma anche e soprattutto "amore che salva".
Nessuno può spiegare per quale motivo, Dio elegge alcuni e danna altri, ma certamente è possibile affermare che nessuno è perduto o dannato contro la propria volontà.
Tramite Floro, l'abate Valentino, propose ad Agostino un'ulteriore questione sollevata dai monaci: se tutte le opere sono il frutto della grazia di Dio, l'uomo non dovrebbe essere commiserato quando non compie il bene, Dio non può pretendere dall'uomo quanto solo Lui può determiinare in loro. Agostino replica componendo il trattato "Sul Rimprovero della Grazia".
In tale trattato è presa in considerazione la relazione tra grazia e condotta umana. La sovranità di Dio, non annulla le capacità umane. Pertanto i rimproveri che Dio muove all'incredulo affinchè si converta, o al credente affinchè continui nell'opera di santificazione, sono i mezzi usati dalla grazia per promuovere se stessa.
Intorno al 427 d.C. in una lettera inviata a Vitale, un credente cartaginese, Agostino si confronta con la posizione semi-pelagiana secondo la quale l'atto iniziale di fede, è opera del libero arbitrio dell'uomo, mentre tutto il resto è sotto il controllo di Dio.
Ma se così fosse che senso avrebbe pregare Dio per la conversione degli increduli, si dovrebbero piuttosto cercare argomenti persuasivi per convincere quanti non credono, ad accettare di diventare figli di Dio.
Agostino afferma: 1) Gli infanti, che non hanno compiuto ancora alcunchè di bene o di male nelle loro vite, non sono tuttavia immuni dal peccato trasmesso loro dall'antenato Adamo, pertanto hanno bisogno della grazia di Cristo per essere liberati dalla punizione della morte eterna. 2) La grazia di Dio è donata ad infanti ed adulti, a prescindere dai loro meriti: 3) La grazia è donata ai credenti affinchè essi la utilizzino per compiere qualsiasi tipo di opera buona. 4) La grazia non è donata a tutti gli uomini; a quelli a cui è data prescinde dai meriti delle opere e dai meriti della volontà (per Agostino ciò è particolarmente evidente negli infanti che vengono salvati dal solo battesimo). 5) La salvezza dipende unicamente dalla grazia di Dio. 6) La salvezza è negata ad alcuni, per il giusto giudizio di Dio. 7) Davanti al tribunale di Cristo, ciascuno riceverà la giusta retribuzione, in ragione di quello che ha effettivamente fatto, non in ragione di quello che avrebbe potuto fare se fosse vissuto più a lungo. 8) Gli infanti sono salvati, se battezzati, sulla base di quanto i loro padrini hanno dichiarato in loro vece al momento del battesimo. 10) Coloro che credono nel Signore, con tutto il cuore, lo fanno per libero arbitrio e scelta. 11) Non preghiamo invano quando chiediamo a Dio di fare in modo che coloro che non credono in Lui, possano credere. 12) Coloro che si sono convertiti in seguito a preghiere, debbono ringraziare Dio per la propria salvezza, e non il proprio libero arbitrio.

Giuliano forse nel 421 d. C. aveva letto il secondo libro del trattato agostiniano "Sul Matrimonio e la Concupiscenza", e a sua volta aveva composto un trattato in 8 libri, che aveva mandato a Floro. Alipio, amico di Agostino trova tale trattato a Roma nel 427-8 d.C. e spedisce ad Agostino una copia dei primi 5 libri.
In una lettera al diacono Quodvultdeus, Agostino si scusa per non avere ancora messo mano alla compilazione di un trattato sulla storia delle eresie cristiane. Ciò è avvenuto a causa delle "Ritrattazioni" che sta terminando di scrivere e al desiderio di replicare all'opera di Giuliano. Il trattato promesso al diacono prese il nome "Sulle Eresie"; in esso figurava anche il pelagianesimo.
Il trattato in replica alle nuove obiezioni di Giuliano, non venne terminato a causa della morte di Agostino. Esso è conosciuto come "Opera Incompleta", Agostino esitò a completare l'opera anche perchè riteneva le obiezioni di Giuliano alla dottrina della grazia, troppo sciocche per essere seriamente prese in considerazione per una confutazione.

La diffusione del semi-pelagianesimo.

Superata la stagione del successo del pelagianesimo, nel sud delle Gallie si stava diffondendo il semi-pelagianesimo; due credenti Prospero e Ilario con i quali Agostino era in contatto epistolare, gli chiedono di chiarire la natura teologica del semi-pelagianesimo.
Nel periodo 428-9 d.C. Agostino espone le tesi semi-pelagiane nei due trattati "Sulla Predestinazione dei Santi" e "Il Dono della Perseveranza".
I semi-pelagiani affermavano che tutti gli uomini erano perduti a causa del peccato di Adamo, e che nessuno poteva perseverare nella fede tramite l'esercizio del libero arbitrio. Ma essi rifiutavano la nozione di "grazia irresistibile", l'uomo può iniziare il processo di salvezza volgendosi con le proprie forze a Dio. Gli uomini possono resistere alla grazia di Dio, che li attira e all'occorrenza rigettarla.
Essi negavano anche che la grazia potesse essere data a prescindere dalla previsione dei meriti futuri della persona. La posizione agostiniana era tacciata di fatalismo, contraria alla tradizione della chiesa, e nel caso fosse stata apertamente predicata, avrebbe certamente condotto gli uomini alla disperazione.
Per Agostino, la nozione di grazia dei semi-pelagiani non è altro che una riproposizione delle dottrine pelagiane della salvezza per meriti.

Nel trattato "Sul Dono della Perseveranza", è spiegato come la perseveranza del credente, allo stesso titolo del dono della fede con la quale si crede per essere salvati, è opera interamente divina. Chi ha ricevuto fede, non perderà mai la salvezza. L'uomo è sempre tentato di abbandonare il retto cammino della fede, ciò è nella natura ribelle dell'uomo. Opera di Dio è tenere l'uomo sul giusto sentiero.
Nel trattato "Sulla Predestinazione", Agostino si confronta con le obiezioni che venivano sollevate contro la dottrina della predestinazione. Paolo, gli apostoli, e i padri della chiesa insegnavano questa dottrina. Agostino è convinto che questa dottrina sia cibo per l'anima, ciononostante essa deve essere trasmessa con saggezza e tatto.

Nel 431 a.C. il Concilio Ecumenico di Efeso condannò definitivamente il Pelagianesimo.


(autore: Domenico Iannone)